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La missione del “nuovo” Terzo settore? Fare comunità

«Non avremo mai felicità in “forma civile”, cioè in una dimensione relazionale, se non avremo luoghi: gli spazi, per quanto comodi e efficienti, non ci bastano. Il Terzo Settore del dopo Riforma avrà come compito la rigenerazione della comunità, lo sforzo costante di “fare luogo”»: così Stefano Zamagni presenta la prossima edizione del workshop, al via questo fine settimana

di Stefano Zamagni

L’edizione 2017 delle “Giornate di Bertinoro” si occuperà – come non poteva essere diversamente – del Terzo Settore del dopo-Riforma. Qui di seguito, alcune riflessioni intorno allo spirito animatore della Riforma. Sui contenuti della stessa ci si soffermerà prossimamente, una volta che i decreti attuativi saranno stati emanati.

Non è possibile rigenerare i luoghi di vita laddove non c’è comunità. La crisi dell’ultimo ventennio ha indebolito – e in taluni casi distrutto – la comunità. Questa conseguenza perversa della crisi è quella che ha ricevuto, finora, le più scarse attenzioni. Eppure noi aneliamo alla felicità in “forma civile”, cioè in una dimensione relazionale. E’ per questo che abbisogniamo di luoghi: gli spazi, per quanto comodi e efficienti, non ci bastano. L’odierna urbanizzazione segna il trionfo dell’urbano, cioè degli spazi, non del civile, cioè dei luoghi.

Ebbene, il Terzo Settore del dopo Riforma (L.106/2016) non può esimersi dal porre in cima ai propri compiti la rigenerazione della comunità, lo sforzo costante di “fare luogo” per creare quelle relazioni che scongiurano la minaccia dell’isolamento. Se questo è l’obiettivo, la strategia di lungo termine da perseguire è allora quella di dare ali a pratiche di organizzazione delle comunità (community organizing). E’ questo un modo alternativo di impegno “politico” che consente alle persone, la cui voce mai verrebbe udita, di contribuire al processo di inclusione sia sociale sia economica. Quella dell’organizzazione delle comunità è una strategia né meramente rivendicativa né mirante a creare movimenti di protesta. Piuttosto, si tratta di una strategia la cui mira è quella di tradurre in pratica il principio di sussidiarietà circolare, articolando in modo nuovo le relazioni tra mercato, stato, comunità.

Organizzare comunità non è una strategia rivendicativa né di protesta, ma articola in modo nuovo le relazioni tra mercato, stato, comunità

Con la riforma del Titolo V (art.118 e 119) della Costituzione (2001) si è realizzata – dopo decenni di dibattito pubblico – la "costituzionalizzazione" del principio di sussidiarietà, la quale ha legittimato non solo la libertà di intervento dei privati in attività di interesse generale, ma anche la loro priorità per ragioni di prossimità. Il senso profondo della Riforma è dunque quello di dare ali alla costituzionalizzazione del Terzo Settore, attraverso il superamento definitivo del binomio pubblico/privato a favore del trinomio pubblico / privato / civile. Costituzionalizzazione significa pieno riconoscimento nell’ordinamento giuridico del Terzo Settore e del suo potere istituente. E’ da tale riconoscimento che deriva l’obbligazione in capo agli enti del Terzo Settore di procedere alla riorganizzazione profonda del proprio modo di agire e di operare. Tenendo presente che la familiare distinzione tra forma e contenuto – cioè tra soggetti e attività – non regge nel caso del Terzo Settore, perché il modo in cui questi enti “sono” deve dettare anche il loro modo di operare e viceversa.

I decreti in via di emanazione puntano ad una costituzionalizzazione civile del Terzo Settore che sia né stato-centrica né meramente mercantile. Ecco perché vengono concettualmente distinte le nozioni di fine, missione, identità degli Enti di Terzo Settore . Il fine (telos) di una organizzazione è la sua ragion d’essere; la ragione per la quale essa giunge in esistenza e svolge la sua attività. La missione dice, invece, del modo in cui il fine viene raggiunto. Sono tante, infatti, le vie che portano ad un determinato punto di arrivo. E la scelta del sentiero non è mai una questione solo tecnica, dato che essa postula il riferimento a specifici giudizi di valore. Infine, l’identità ha a che vedere con le regole che governano la vita interna dell’organizzazione, regole che, per un verso, devono assicurare la visibilità della missione e, per l’altro verso, devono rendere efficace il perseguimento del fine.

E’ rispetto alla missione e alla identità che va ricercato il proprium di un ente di Terzo settore. Non rispetto al fine perseguito che può essere lo stesso di organizzazioni non di Terzo Settore. (Si pensi, ad esempio, alle società benefit, introdotte nel nostro ordinamento nel dicembre 2015). L’omeomorfismo che si è andato registrando nel corso dell’ultimo ventennio nel nostro paese è in buona parte conseguenza della grave confusione di pensiero tra fine, missione, identità – termini troppo spesso presi come sinonimi, anche nella letteratura specialistica. Se si vuole che il Terzo Settore giunga a connotarsi come social polity dotata di una specificità diversa da quella delle istituzioni dello Stato e delle organizzazioni del mercato occorre assicurare la congruenza piena tra fine, missione e identità. E’ questa la mira della XVII Edizione delle “Giornate di Bertinoro”.

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