Cultura

La missione dei coniugi Corti messa nero su bianco

Lettere e pensieri dei fondatori del Lacor Hospital in Uganda

di Emanuela Citterio

«Qui dentro c’è l’anima di
50 anni di lavoro», dice la figlia Dominique. Che come frutto hanno generato
un ospedale che oggi conta
548 posti letto e cura 300mila pazienti l’anno. Esclusivamente
con dipendenti locali
«Cara Lise, per quanto mi riguarda vado molto bene. Trovo che sia molto divertente vivere in Africa. Innanzitutto fa sempre caldo e l’Uganda è un Paese talmente bello, con tutta questa vegetazione tropicale e la terra rossa». Anno 1961. A scrivere è Lucille Teasdale, appena arrivata in Uganda con il marito Piero Corti. Entrambi medici, prenderanno in consegna un dispensario missionario nella città di Gulu trasformandolo in un centro di eccellenza sanitaria, il Saint Mary Lacor Hospital, oggi uno dei più efficienti ospedali non governativi dell’Africa equatoriale. Dal sogno alla realtà, lettere dal Lacor Hospital, Uganda (edito dalla Fondazione Corti) è un libro che, attraverso frammenti di brani, lettere personali, documenti, ricostruisce una storia d’amore che dura da 50 anni. «Molti tra coloro che oggi continuano a realizzare, tramite il proprio lavoro o il proprio sostegno, il sogno di mamma e papà, conoscono poco o nulla delle vicende storiche che hanno coinvolto l’ospedale e i suoi protagonisti», dice Dominique Corti, presidente della fondazione che continua a sostenere le attività dell’ospedale.
«Il libro è una raccolta incompleta e parziale, ma ha il pregio di restituire affetti, significati, motivazioni, sogni, disincanti, tristezze, disperazioni, trascinanti entusiasmi e caparbia determinazione. Di restituire insomma, l’anima di questi 50 anni del Lacor». Con 548 letti e 300mila pazienti curati all’anno, il Lacor è un punto di riferimento per la sanità in Uganda, in una delle zone più povere dell’Africa equatoriale, devastata negli anni da emergenze umanitarie che hanno minacciato lo stesso ospedale. Oggi ha raggiunto l’obiettivo di una completa africanizzazione: i suoi 600 dipendenti sono tutti locali, continua a offrire cure ai più poveri ma anche lavoro, formazione tecnica e universitaria richiamando persone da tutta l’Uganda e da oltre confine. A Gulu, Lucille e Piero sono vivi nella memoria collettiva insieme a Mattew Lukwiya, il primario ugandese che li ha succeduti nella direzione dell’ospedale e che nel 2000 ha sacrificato la sua vita riuscendo a fermare un’epidemia di Ebola.

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