Non profit

La mia prima volta è stata come un tuffo in piscina

Massimiliano Matteri - Arché onlus

di Antonietta Nembri

Per rompere il ghiaccio, basta mettersi a giocare. E per togliersi il “senso di vuoto”, basta impegnarsi un sabato mattina. È così che Massimiliano, arrivato a Milano da Dongo, ha incontrato il bambino che gli ha cambiato la vitaDa quattro anni trascorre alcune ore con un bambino che vive una situazione di disagio, facendo piccole cose: compiti, disegni e giochi. Massimiliano Matteri, 34 anni, redattore presso la casa editrice Il Saggiatore di Milano, è un volontario dell’associazione Arché di Milano, onlus nata vent’anni fa per rispondere al disagio sociale grave di bambini e famiglie, causato – allora – dai primi casi di sieropositività infantile. Negli anni Arché ha ampliato il suo raggio d’azione, sempre interessandosi di minori.
Un master in editoria, un passione smodata per i viaggi… come mai a un certo punto ha iniziato a fare il volontario?
Era un momento un po’ particolare della mia vita: stavo lavorando part-time e avevo un po’ di tempo libero. Inoltre, sentivo un non ben definito desiderio di “fare qualcosa”, un senso di disagio rispetto a ciò che mi stava intorno. In pratica, percepivo Milano come un ammasso di persone che si facevano i fatti loro e dove tutti si lamentavano che non c’era socialità. Ma non facevano nulla. Questo mi ha fatto scattare la voglia di fare.
Era la prima volta che “scattava” questa voglia?
Da ragazzo a Dongo, dove sono nato, avevo fatto le classiche esperienze in oratorio, con i ragazzi disabili, e avevo partecipato anche ad alcuni campi estivi. Però in modo discontinuo e quasi non consapevole. Lo facevano i miei amici, e lo facevo anch’io… in un piccolo paese c’è questo senso di fare le cose insieme. Quando sono arrivato a Milano, questo spirito non c’era.
E come è arrivato ad Arché?
Volevo lavorare con i bambini; avevo fatto già un’esperienza nelle scuole elementari, dove tenevo corsi di educazione civica, e da lì è scattata l’idea di fare del volontariato. Ho iniziato a mandare mail a diverse associazioni che avevo trovato in Internet. Arché è stata quella che mi ha risposto in modo più chiaro, offrendomi un appiglio concreto per iniziare. È proprio la chiarezza della risposta che mi ha invogliato a prendere contatto con loro: mi segnalavano un corso di formazione invitandomi al colloquio di presentazione. Il colloquio ha funzionato, ho cominciato, e da allora sono rimasto.
Concretamente, che cosa fa?
Assistenza domiciliare. Vado a casa di un bambino e faccio quello che serve: lo aiuto con i compiti, giochiamo, andiamo a fare un giretto. Spesso, non ci sono cose da fare, ma già passare del tempo con lui lo fa stare bene.
La prima volta che è andato a casa di questo bambino, se la ricorda?
È stato qualcosa di strano. C’era soprattutto imbarazzo: mio, del bambino, della mamma. Mi sono sentito come se mi avessero buttato in piscina senza saper nuotare… Si improvvisa… Per rompere il ghiaccio, ci siamo messi a giocare. Certo, non ero solo. La prima volta sono andato con un altro volontario che conosceva già la famiglia. Poi negli anni l’impegno è cambiato, anche perché ora ho un lavoro a tempo pieno, e anche il bambino ha molti impegni: abbiamo “istituzionalizzato” l’appuntamento del sabato mattina, facciamo le solite cose, poi pranziamo insieme, e dopo mangiato resto ancora un po’ con il bambino e con la sua mamma.
Quali sono le caratteristiche che bisogna avere per prendersi questo impegno?
Serietà, responsabilità e la consapevolezza piena di quello che si sta facendo. È importante che non sia un capriccio. Subito, dal primo incontro con il bambino, ti rendi conto che c’è una grossa aspettativa da parte della famiglia. Per questo sono importanti gli incontri preparatori in associazione, e il confronto continuo con gli altri volontari. Iniziare un percorso del genere è assumersi una grande responsabilità.
Prima di questa esperienza, che idea si era fatto del mondo del volontariato?
Speravo fosse come poi in effetti mi è capitato di viverlo. Sono stato fortunato. In realtà, me lo immaginavo un po’ più ingessato, forse perché conoscevo solo il volontariato cattolico della parrocchia. A cambiare la mia prospettiva credo sia stato il confronto con la realtà cittadina.
Quali sono gli ostacoli principali?
Il problema è che, quotidianamente, si è assorbiti dal lavoro, e diventa difficile ritagliarsi il tempo. Ho molti amici che vorrebbero fare volontariato, ma c’è sempre il problema degli orari. Se penso alla mia esperienza, devo dire che mi ha favorito il fatto di aver iniziato quando lavoravo part-time, in un momento in cui “me lo potevo permettere”. Se avessi iniziato ora, avrei rischiato di non cominciare nemmeno, o di non farcela.
Cosa le lascia, ogni giorno, questa esperienza?
A livello personale, mi rendo conto che si è costruito un legame forte con la famiglia del bambino che seguo. È un coinvolgimento anche affettivo, che mi fa riflettere sul mio futuro ruolo di genitore. E poi, ha accentuato il mio sogno di tornare a insegnare. Se potessi, lo farei subito, ma il mondo della scuola è ormai inaccessibile. In generale, questa esperienza ha accentuato la consapevolezza dell’importanza di lavorare con le persone, di contribuire concretamente alla crescita umana dei ragazzi.
Consiglierebbe a un suo amico di fare volontariato? E perché?
Istintivamente gli direi che è un arricchimento, e una gratificazione: fai qualcosa e ti rendi conto che sparge qualcosa di buono. Troppo retorico? Mi sa che gli direi solo: “Guarda, io faccio il volontario, e mi fa bene!”.

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