Welfare

La mia difesa più bella è San Vittore

Intervista a Federico Stella, uno dei penalisti più noti e discussi, sincero paladino dei detenuti.

di Benedetta Verrini

Quando è uscita dalla visita a San Vittore, l?anno scorso, Kiran Bedi mi ha detto che non aveva mai visto niente di simile. Mi è sembrato significativo detto proprio da lei, che ha gestito un carcere di diecimila persone in India». Scuote la testa, Federico Stella. La battaglia per il miglioramento del sistema penitenziario italiano è di gran lunga la più dura che abbia mai combattuto. Ed è tutto dire. A 66 anni, docente di diritto penale all?università Cattolica di Milano, una fama sconfinata, l?avvocato Stella ha all?attivo quarant?anni di difese ?scomode?: la più recente, il coordinamento della difesa degli imputati nel processo del Petrolchimico di Marghera; la prossima, quella dei responsabili dell?ospedale Galeazzi, in cui avvenne il rogo della camera iperbarica. Principe del foro o avvocato del diavolo? Certamente il tipo che sfugge a qualsiasi etichetta. Stella è un vero filosofo del diritto, una persona che dichiara senza enfasi la sua fede cristiana; che una volta all?anno va a Santa Caterina, nel Sinai, a meditare «dove Mosè ricevette le tavole della legge». Uno che ha fatto del malessere che si respira nelle carceri italiane una sfida personale, che cerca di comunicare ai suoi studenti e collaboratori l?importanza del ?risveglio delle coscienze?. Per questo ha curato la pubblicazione di un libro dal contenuto esplosivo, in uscita in questi giorni: La coscienza di sé, (Giuffré, 45.000 lire) memoriale di Kiran Bedi, la superpoliziotta indiana che ha introdotto un nuovo modello di amministrazione penitenziaria con al centro il recupero del detenuto. Vita: Professor Stella, come ha conosciuto la storia di Kiran Bedi e perché ne è rimasto così affascinato? Federico Stella: È tutta la vita che mi occupo della sofferenza dei carcerati. Quando ero studente trascorrevo i miei sabati al Beccaria, a incontrare i minori reclusi. Penso che il carcere sia il luogo della sofferenza per eccellenza, un?istituzione superata, che non risolve i problemi, anzi li peggiora, perché si traduce in una scuola di specializzazione del crimine. Questa condizione di dolore era un grande cruccio anche per padre Gemelli (il fondatore dell?università Cattolica, ndr) e con la pubblicazione questo libro mi sembra di aver mantenuto una promessa fattagli. La testimonianza di Kiran Bedi inizia con la considerazione che «niente accade per caso». Credo che sia vero. Un paio d?anni fa ero in vacanza e durante una conversazione del tutto occasionale mi parlarono di lei e della sua straordinaria esperienza al carcere di Tihar, a Nuova Delhi. Mi dissero che esisteva un documentario e al rientro me lo sono fatto spedire. Dopo averlo visto, l?ho cercata immediatamente e l?ho invitata in Italia. L?anno scorso, la sua conferenza all?università Cattolica ha avuto un successo straordinario e questo mi conferma che la comunità civile capisce perfettamente il problema. È la comunità politica che non lo capisce. Vita: Effettivamente, tutte le discussioni della scorsa legislatura sulla possibilità di un?amnistia o un indulto sono cadute nel vuoto? Stella: È vero, ma io non vedo una strada in quella direzione. L?amnistia e l?indulto sono provvedimenti che servono solo a rimarcare la cattiva coscienza dei nostri governi. Il sovraffollamento e il malessere delle carceri vanno affrontati di petto. L?amministrazione della giustizia penale costituisce il cuore della democrazia e in Italia questo sistema è culturalmente arretrato. Bisogna fare un passo avanti nella direzione dei Paesi a democrazia più avanzata, come gli Stati Uniti, e facendo questo si ottiene un primo risultato: ridurre il numero di persone che vanno in carcere. Perché è questo il segno dell?arretratezza culturale che oggi si sconta, in Italia, sotto il profilo della pena: la convinzione che i problemi della società civile vadano risolti con il processo penale. In secondo luogo, visto che c?è un nucleo duro di comportamenti illeciti, come l?omicidio, lo stupro, che sono alla base della domanda di sicurezza dei cittadini, io sostengo che la nostra società si deve guardare dentro. Vita: In che senso? Stella: Nella nostra società manca una consapevolezza fondamentale: quella che, per usare un?espressione di Kant, dentro tutti gli esseri umani c?è una parte di male radicale. Se non si comprende che il male fa anche parte di noi, non riusciremo mai a capire il male che vediamo esplodere negli altri, e non riusciremo mai a capire che, come spiega Kiran Bedi, c?è solo un velo sottile che separa noi tutti da quelli reclusi in carcere. Vita: Come raggiungere questa consapevolezza? Stella: Kiran Bedi lo ha reso possibile. Che cosa ha fatto? Quello che ogni comunità cristiana dovrebbe fare. Tendere la mano, usare il linguaggio dell?amore invece di quello della violenza. Prendiamo pure atto che le carceri saranno per molto tempo una realtà ineliminabile per la nostra società, ma facciamo qualcosa. Non illudiamo le persone che i loro problemi si risolveranno semplicemente creando spazi di reclusione. Bisogna lavorare per evitare, piuttosto, che chi esce continui a perseverare nel crimine. Credo che dovremmo favorire la trasformazione e il risveglio della coscienza di chi è detenuto, coinvolgendo il mondo delle università e quello del volontariato. Lo sa come considero questo libro? Un manuale ad uso degli amministratori penitenziari che non potranno considerarlo un?utopia, visto che in India ci sono riusciti, hanno sconfitto la recidiva, recuperato centinaia di persone e creato un modello ormai esportato in molti Paesi, dal Canada all?Inghilterra. Vita: Dopo il caso di Novi Ligure, il ministro Castelli ha ipotizzato un irrigidimento del sistema penale minorile. Cosa ne pensa? Stella: Se si andrà davvero in questa direzione, mi pare sbagliato. Erika e Omar sono il simbolo del fallimento della nostra società. Non ci sono interpretazioni psicologiche che tengano, nessuno riuscirà mai a spiegarsi perché un figlio riesce a dare novanta coltellate alla madre. Anche qui c?è il problema della coscienza di sé. C?è un solo modo per pensare l?avvenire di questi ragazzi: far rinascere in loro una coscienza del senso della vita e degli affetti. Il resto mi sembra solo demagogia e improvvisazione. Vita: In Italia, a chi sta a cuore il malessere dei detenuti? Stella: A me sta a cuore, come pure ai miei studenti e a tante associazioni di volontariato. Ma soprattutto, sta a cuore ai detenuti stessi. Ho pensato di far distribuire questo libro gratuitamente nelle carceri di Milano e dintorni. Perché conosco queste persone, conservo le loro lettere: hanno un bisogno disperato di redenzione e tanta rabbia, perché nessuno gli dà una mano a capire cosa è successo nella loro vita. È lì che un cristiano deve tendere la mano. Vede, la giustizia divina è la giustizia del primo passo. Quello che Jahvè fa verso Caino. Info: su Kiran Bedi, www.kiranbedi.com


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