Cultura

La mia Chiesa suona il rock

Migliaia di giovani a Bologna: per il Papa o per Dylan?

di Alessandro Sortino

«Andrete per il mondo e parlerete in tutte le lingue», disse Gesù Cristo agli Apostoli il giorno della Pentecoste. Se quel giorno fosse oggi, qualcuno dei Dodici avrebbe preso la chitarra elettrica, e avrebbe predicato il Vangelo nella lingua del rock. Un?esagerazione? Non lo è. La prova (o il ?segno?, direbbero i fedeli)? Il 27 settembre a Bologna, al Congresso eucaristico nazionale. I giornali lo chiamano ?concerto per il Papa?, i sacerdoti ?veglia?: fatto sta che si esibiranno, davanti a Wojtyla e a cinquecentomila ragazzi, Bob Dylan e Lucio Dalla, Adriano Celentano e Gianni Morandi, Niccolò Fabi e Samuele Bersani, Andrea Bocelli, il tenore, e Michel Petrucciani, il pianista jazz. In più suoneranno i nove finalisti del concorso Hope Music, una sorta di Sanremo cristiana, voluta dalla pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana (Cei). Lo staff di ?Hope Music? ha selezionato, attraverso il filtro delle parrocchie, migliaia di gruppi musicali e di cantanti di tutta Italia, e ne ha scelti nove, dai 18 ai 30 anni, tutti sconosciuti. Le loro canzoni parlano di speranza, ma anche di sofferenza e solitudine, di amore e libertà: come Pablo, 19 anni, una sorta di portabandiera degli esordienti, che urla in un rock duro e puro: «Voglio cercarti da me, voglio rischiare, mi voglio giocare, voglio sfidare chi spezza i miei sogni». Pablo e gli altri saliranno sul palco il pomeriggio. Il vincitore del concorso si esibirà la sera, davanti al Papa. Le loro canzoni saranno poi raccolte in una compilation, arrangiata, prodotta e mixata da grandi nomi della musica italiana come Lele Melotti, batterista di Pino Daniele, o Aldo Fedele arrangiatore di Dalla, Carboni e Ron. Don Domenico Sigalini (bresciano, 55 anni) è un sacerdote laureato in matematica, che affianca all?amore per la logica una grande passione per il mistero di Dio. Da sei anni guida la pastorale giovanile della Cei. Lui, questa ?conversione? della Chiesa al rock, la spiega così: «Il messaggio del Vangelo non è nostro, ma è nostra la vita nella quale s?incarna. La Parola si deve incarnare, deve prendere la forma della nostra esistenza: per questo è naturale aiutare i giovani a esprimere i sogni, la fede, le speranze nella lingua che meglio conoscono. Io partecipo a decine di incontri con i giovani, e li vedo sempre incapaci di parlare spontaneamente, di verbalizzare. Perché non si fidano, probabilmente, dei loro interlocutori.Le parole nella nostra società sono utilizzate in maniera ambigua. La musica, nel bene o nel male, è più diretta. Della musica come linguaggio, i ragazzi si fidano». La rivoluzione è doppia: da una parte la Chiesa ufficializza senza possibilità di dubbio la ?neutralità? del rock come linguaggio («il rock non è il diavolo» ha dichiarato don Giandomenico Valente, sacerdote e musicista, uno degli ideatori di Hope Music e coautore della sigla del concerto). Il che vuol dire: la musica è cattiva se attraverso di essa si mandano messaggi negativi. Come conferma Carlo Climati, giornalista di Hope Music, e autore di una inchiesta sul rock satanico: «Esistono gruppi di rock duro, ?Heavy rock?, che utilizzano suoni terribili e urlacci, per cantare la speranza e l?amore di Dio». Dall?altro lato è il rock che trova nel cristianesimo quei contenuti trasgressivi ed eversivi, che la sua militanza nella società di massa stava annacquando. Don Sigalini: «Vorrei scrivere addirittura un libro sulle trasgressioni di Cristo. E magari farlo leggere a quei cantanti che si credono trasgressivi. Ci sono rockstar che guadagnano miliardi speculando sul mondo giovanile: prendono i soldi dai ragazzi e non aiutano a costruire i loro valori. Tuttavia qualcosa sta cambiando. Penso a Jovanotti, che ho incontrato e ho trovato molto maturato, penso a Lucio Dalla. Ma penso anche a Zucchero. In macchina seguivo un suo concerto per radio. Mandava messaggi negativi a voce, e poi cantava pezzi di una grande intensità umana». Già, Zucchero. Proprio lui ha scelto di portare, contro il concerto di Bologna, la bandiera degli eretici irriducibili: «Il rock deve rimanere demoniaco», ha urlato quando si è sparsa la notizia ?sacrilega? della partecipazione di Bob Dylan. Ma si oppone anche Myung-Wun Chung, il direttore di orchestra coreano che ha curato le esecuzioni musicali negli incontri del Papa a Parigi. Anche lui contro il rock cristiano, per ragioni opposte però: «La Chiesa non deve adattarsi ai tempi adottando rock e chitarre. La sua immagine deve rimanere ?alta? perché solo attraverso i grandi lavori sacri di ieri e di oggi composti da musicisti con un profondo senso religioso si può trovare Dio». Eppure, con buona pace di Zucchero e Chung, e delle opposizioni esterne e interne alla Chiesa, l?ascesa del rock ?buono? è inarrestabile. «Alcuni parroci », spiega don Sigalini, «dopo Parigi mi chiamano perché non sanno come contenere i ragazzi tornati entusiasti. Il Papa sta cambiando la Chiesa proprio attraverso questo contatto coi giovani, che però rifiiuta il giovanilismo del mondo. Stiamo imparando a leggere alcuni atteggiamenti come domande, più che come proteste. Stiamo imparando a rispondere. So delle migliaia di lettere che i giovani scrivono a Dylan Dog, o dei messaggi su Internet. Noi diciamo a questi ragazzi di uscire dall?anonimato, dalle cantine, e di suonare alla luce del sole. Abbiamo lanciato questo concorso, presto partiremo con una scuola musicale, per autori e musicisti…». Dopo Parigi le cronache raccontavano del silenzio di seicentomila ragazzi mentre il Papa parlava. Dopo Bologna si parlerà di cinquecentomila ragazzi che cantano le canzoni di Dylan o di Dalla, e del Papa che li ascolta. È vero: la Chiesa ha bisogno di imparare la lingua del rock. Ma anche il rock, per farsi ascoltare dai giovani, ha bisogno di capire quel silenzio. Il caso di Sinnead O’Connor Chiedo scusa al Papa Strappare la foto del Papa in diretta tv è stata una cosa ridicola. Ora voglio lasciarmi alle spalle quella rabbia. Non che la voglia rinnegare, anzi. La rabbia è il primo passo verso il coraggio, diceva Sant?Agostino. Molti di noi non si alzerebbero dal letto la mattina se non fossero incazzati col mondo intero. Ma prima o poi si capisce che l?amore ha un potere più forte della rabbia, ed è proprio quel che è successo a me. Io sono cattolica, sono stata educata in un ambiente molto religioso. Anche quando mi sono ribellata, e in modo plateale, contro il Papa, l?ho sempre fatto perché ero in lotta con la fede, e non fuori da essa. È stato il gesto di una figlia ribelle che però tutto sommato spera ancora di trovare nella Chiesa la sua casa. Perché la Chiesa siamo noi. Certo, come molti altri cattolici sono insofferente a certe regole troppo rigide. Ma ora sono maturata. Ho trent?anni e due figli. Ho lavorato duro per conquistarmi la felicità: è facile urlare con una chitarra in mano, ma quella dimensione non mi appartiene più. Oggi sono in pace. E a chi mi dice che la creatività viene dal dolore, rispondo che non è vero. Basta ascoltare i miei ultimi dischi: sono molto più belli dei primi.


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