Non profit

La mia Caritas rinascerà in mille pezzi

Parla don Di Tora, l’erede di Di Liegro

di Alessandro Sortino

Aveva gli occhi lucidi, quando dopo la messa, domenica 23 novembre, si vedeva costretto ad annunciare ai suoi parrocchiani che li avrebbe lasciati. Proprio lui, don Guerino Di Tora, che della chiesa di San Policarpo, nel quartiere Tuscolano di Roma, era il parroco da dodici anni (più altri undici come vice). Un?istituzione per il quartiere. Ora, per volere del cardinal Ruini, è il nuovo direttore della Caritas romana, primo successore di don Luigi Di Liegro, a un mese dalla sua scomparsa. Don Guerino ha cinquantuno anni, è sacerdote da ventisei. Prima di diventare viceparroco a San Policarpo, e dopo la laurea in teologia, era stato assistente del Pontificio seminario romano. ?Vita? lo ha intervistato nel primo giorno del suo insediamento. «Mi rendo conto», ci dice, «di quanto sia importante l?eredità di don Luigi Di Liegro. Ciò che don Luigi ha creato è qualcosa di grande, che oggi porta la Caritas di Roma a essere una di quella forme peculiari che caratterizzano l?esperienza cristiana della nostra diocesi, rispetto alle altre. Ciò realizza una frase di Sant?Ignazio, che voleva che la Chiesa di Roma primeggiasse nella carità. Ma l?eredità di don Luigi è importante per me anche da un punto di vista personale». In che senso? «È stato il primo prete che ho conosciuto. Era un uomo carismatico. Lo incontrai negli anni ?50 a San Leone, una parrocchia del quartiere Prenestino. Io ero bambino e lui venne lì come viceparroco: già allora ci parlava dei problemi sociali. Era appena tornato dalle miniere del Belgio, e non posso dimenticare l?umanità, l?attenzione con la quale parlava di queste storie. Di questi uomini che avevano lasciato le città del nostro Meridione per andare a lavorare lassù. E lui era andato con loro per condividere questa esperienza. Che lo toccò profondamente: e lo si è visto poi nella sua opera, l?attenzione che riponeva nei problemi degli immigrati». Quali sono i primi due impegni sulla sua agenda di neo direttore? «Innanzitutto entrare nella conoscenza di questo grande mondo della Caritas. E poi una maggiore attenzione nel decentramento. Portare le attività della Caritas nelle parrocchie». E in questo processo il volontariato che ruolo avrà? «Il volontariato ha già un ruolo importantissimo. E lo avrà sempre di più, sia nelle forme tradizionali, di tipo caritativo o assistenziale, ma anche nelle forme più moderne. Credo che l?importanza del volontariato vada ricongiunta al valore attribuito dal Concilio Vaticano II al ruolo dei laici. Ma voglio ribadire una necessità: i servizi della Caritas vanno potenziati, soprattutto nelle parrocchie, e nelle strutture intermedie tra parrocchie e diocesi». C?è una critica ricorrente, interna alla Chiesa, che si muove alla Caritas, a proposito della gestione dei volontari: il rischio di una eccessiva tecnicizzazione della carità. Lei sente questo rischio? «Il rischio c?è come in tutte le cose di questo tipo. Sta a noi operatori fare in modo che ci sia il giusto equilibrio tra l?organizzazione e la spiritualità, tra l?utilizzo delle tecnologie e il valore delle persone. Senza dimenticare che è questo il punto principale: il messaggio di Gesù passa attraverso le persone, non attraverso le cose».


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