La campagna elettorale seguita interamente da un letto di ospedale. Anzi, interamente fino a un certo punto, visto che i primi venti giorni di maggio ero in rianimazione, dove tutt’al più, nell’ora delle pulizie, una radiolina accesa dagli infermieri metteva una surreale allegria con canzoncine e dediche, e notiziari flash da un minuto. Poi, finalmente, nel bel reparto dell’unità spinale di Niguarda, ecco il computer, la televisione, i giornali. Sono stato un candidato più che virtuale. Ero lì, nella lista civica di Penati per la Provincia di Milano, e ho provato comunque a darmi da fare, memore di Obama e della sua performance sul web. Ma guardandomi attorno mi sono demoralizzato rapidamente. Non c’era davvero spazio per ragionamenti sul welfare, la solidarietà, i servizi alla persona, il volontariato, il lavoro, l’inclusione sociale, i diritti di cittadinanza. A chi avrei dovuto raccontare le mie idee? L’ho fatto un po’ su Facebook e in posta elettronica, ma il dialogo è stato praticamente nullo. A tenere banco in queste settimane è stato il nulla, ovvero la contrapposizione urlata fra due schieramenti incapaci di articolare e comunicare pensiero socialmente utile. Alla fine ho scoperto di aver preso un numero di preferenze assai simile a quello di altri candidati della lista che hanno corso in lungo e in largo. Merito della lista, che ha comunque distribuito materiale con la mia faccia sorridente in tutto il collegio, merito di qualche amico che abita in quella zona e mi ha riconosciuto. Ma segno evidente che i giochi in politica si fanno altrove, là dove si riesce a incrociare il consenso con i desideri più emotivi se non grossolani della gente, entrata in una fase di semplificazione per certi versi agghiacciante. Lega e Di Pietro sugli scudi, da qui si riparte. Tempi duri per chi vorrebbe ragionare, proporre, argomentare. Ma intanto sono in convalescenza e forse è meglio che mi preoccupi di tornare in forma, giorno dopo giorno. Una battaglia alla volta.
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