Non profit

La mattanza degli ambientalisti nel Sud del Mondo

Dei 227 uccisi nel 2020, 226 sono deceduti nell'emisfero meridionale ed appena uno in Canada. Da sola l'America latina contribuisce a due terzi degli omicidi...

di Paolo Manzo

Un anno nero il 2020 per gli attivisti che nel mondo lottano ogni giorno, rischiando la vita, per proteggere l'ambiente ed i diritti alla terra. Almeno 227 di loro sono infatti stati assassinati, secondo i dati contenuti dal rapporto annuale dell’ong Global Witness pubblicato lo scorso 13 settembre. Un numero mai così alto dal 2012, quando l’ong ha iniziato a redigere annualmente questo tipo di lugubre statistica. Sia chiaro, questa mattanza è sicuramente maggiore, data la sottostima causata delle crescenti restrizioni ai giornalisti nei Paesi dove le libertà civili sono negate, basti pensare ad esempio alla Cina.

Dai dati a disposizione si evince che un terzo degli omicidi degli ambientalisti oggi è direttamente collegato allo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta. Su tutti il disboscamento seguito dall’estrazione mineraria, dal settore dell’agroindustria su larga scala, dalle mega dighe idroelettriche e da altre infrastrutture di medie/grandi dimensioni. Il rapporto di Global Witness ha definito le vittime "difensori dell'ambiente" uccisi perché “proteggevano le risorse naturali che devono essere preservate, comprese le foreste, le riserve idriche e gli oceani”.

Da quando è stato firmato l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici nel 2015, l'organizzazione non governativa internazionale fondata nel 1993 con sede a Londra e Washington afferma che “in media quattro attivisti vengono uccisi ogni settimana”. Il tutto nel silenzio più totale dei grandi media e del mondo politico che conta. Quello del legname illegale è stato il business che ha registrato lo scorso anno il maggior numero di omicidi, 23 in tutto, distribuiti tra il Brasile, il Nicaragua, il Perù e le Filippine. I popoli indigeni, in prima linea nella protezione dell’ambiente dove vivono messo a repentaglio da chi glielo vuole sottrarre, hanno rappresentato un altro terzo dei casi di omicidi ufficialmente registrati. Tutti i decessi, tranne uno, si sono verificati in paesi in via di sviluppo dell'emisfero meridionale, dove le autorità evidentemente non riescono o non vogliono frenare il disboscamento, l'estrazione mineraria e lo sviluppo industriale. Più della metà è avvenuta in soli tre paesi: Colombia, Messico e Filippine. A guidare la luttuosa classifica per nazioni più letali per chi difende l’ambiente è la Colombia, che detiene il record con 65 difensori della terra assassinati tra il primo gennaio ed il 31 dicembre del 2020.

Questi omicidi si sono svolti in un contesto piú ampio di attacchi di ogni sorta ai difensori dei diritti umani e ai leader comunitari in tutto il paese, nonostante le speranze dopo l’accordo di pace del 2016. Le popolazioni indigene sono state le più colpite ed il COVID-19 ha solo peggiorato la situazione. I lockdown ed i divieti di spostamento hanno portato i difensori dell’ambiente ad essere presi di mira nelle loro case, mentre le misure di protezione del governo sono state ridotte. ‎Il secondo Paese più mortale al mondo è stato invece il ‎‎Messico,‎ dove Global Witness ha documentato 30 attacchi letali contro i difensori della terra e dell'ambiente nel 2020, con un aumento del 67% rispetto al 2019. Il disboscamento è collegato a quasi un terzo di questi attacchi e la metà di tutti gli attacchi nel paese sono stati diretti contro le comunità indigene. L'impunità per i crimini contro i difensori dell’ambiente rimane incredibilmente alta visto che il 95% degli omicidi non si traduce mai in nessun procedimento giudiziario. ‎Terzo paese al mondo più letale per gli ambientalisti sono le Filippine di Duterte, con 29 omicidi. Oltre la metà degli attacchi sono stati direttamente collegati a chi si opponeva a progetti minerari, di disboscamento e di dighe.‎ Dall’elezione di Duterte, nel 2016, fino alla fine del 2020, ben 166 difensori della terra sono stati uccisi – un aumento scioccante in un paese che era già prima un luogo pericoloso per difendere l'ambiente.‎

Un attivista di Global Witness, Chris Madden, ha invitato i governi a «prendere sul serio la protezione dei difensori dell’ambiente», sottolineando come le aziende debbano iniziare a «mettere le persone ed il pianeta prima del profitto" o, ha avvertito, "sia il disastro climatico che le uccisioni», continueranno.

I risultati di Global Witness sono orribili ma attesi, ha affermato Mary Lawlor, esperta indipendente delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, che ha condotto una ricerca simile. «Troppo spesso la corruzione nei sistemi di giustizia penale protegge i governi e le imprese responsabili di questi omicidi e i colpevoli vengono raramente assicurati alla giustizia», ​​ha detto all'Associated Press. «Fino a quando non verrà trovata la volontà politica di fermare questi omicidi, fino a quando questa corruzione non sarà sradicata, è probabile che assisteremo a centinaia di altre uccisioni di difensori dei diritti umani, compresi molti che difendono l'ambiente».

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