Mondo
La marea nera alza l’onda verde
«Il disastro della Bp ultima occasione per accelerare le energie rinnovabili», sostiene l'ascoltatissimo blogger Andrew Sullivan. Che cosa farà ora Obama?
Una sempre più consistente schiera di intellettuali e commentatori americani, dopo aver osservato la marea nera al largo di New Orleans con preoccupazione e sgomento, si è via via convinta che si tratti di un’occasione irripetibile per rilanciare il dibattito ambientalista negli Usa.
La tempistica degli avvenimenti sembra certamente giocare a loro favore. Le fuoriuscite incontrollate di petrolio al largo della Louisiana sono cominciate proprio in concomitanza con la stretta finale su una discussa riforma delle politiche ambientali ed energetiche, che si trascinava in Parlamento dall’inizio della presidenza Obama. Nella nuova legge, che si vanta di essere bipartisan per il lavoro dei senatori Kerry, Graham e Lieberman, c’è però anche lo zampino delle grandi compagnie petrolifere americane Chevron, ConocoPhillips e la stessa British Petroleum responsabile dell’attuale disastro. Per conquistare qualche voto repubblicano, a inizio aprile Obama ha autorizzato l’avvio di un programma di trivellazioni in mare aperto lungo le coste di Virginia, Alaska e Florida. L’offshore drilling è vietato in Usa dal 1980, a seguito di un precedente disastro ecologico avvenuto nel 1969 al largo di Santa Barbara in California; la sola eccezione è costituita proprio dal Golfo del Messico. La decisione, che rovescia in pieno le posizioni sostenute in campagna elettorale, ha attirato le critiche delle principali associazioni ambientaliste, da Sierra Club a Greenpeace, passando anche per l’Alliance for Climate Protection dell’ex vicepresidente Al Gore. «Non è stata una scelta semplice», si è giustificato Barack Obama, «ma tuttavia necessaria almeno per il breve termine, per essere competitivi e indipendenti dal petrolio straniero». «Ed oggi», ha ripetuto fino a qualche giorno prima del disastro di New Orleans, «le trivellazioni sono assolutamente sicure».
Dall’altro lato, tuttavia, il presidente ha mantenuto fede al piano di promozione e sviluppo delle energie naturali rinnovabili annunciato a gran voce per tutto il corso della campagna elettorale. Nell’ambito della stessa legge K-D-L, il Congresso ha infatti appena approvato il programma di energia eolica in mare aperto «Cape Wind» in stallo da nove anni, che ha esaltato molti – ma non tutti – i verdi.
Con lo scoppio della crisi ambientale del Golfo del Messico, per molti commentatori la strada da percorrere è chiara. «Sveglia Obama, questa è la nostra ultima opportunità» titolava il sito ambientalista Grist.com il giorno dopo la visita del presidente a New Orleans, in un editoriale che invitava ad archiviare il progetto delle trivellazioni in mare aperto sponsorizzate dalle compagnie petrolifere e piuttosto a proseguire sulla strada delle energie rinnovabili. «Se i democratici non usano questo disastro per accelerare la legge sulle energie rinnovabili», faceva eco il celebre blogger Andrew Sullivan sull’Atlantic, «si faranno sfuggire uno dei momenti più propizi per emanciparci dal petrolio. Perfino Bush l’avrebbe capito».
Per il momento, nei piani ufficiali della Casa Bianca il progetto di offshore drilling non è archiviato ma solo in stand by, finché non saranno chiarite le cause e le responsabilità della British Petroleum: il presidente non rinuncia ad un piano globale che faccia leva in parallelo sul petrolio e sulle energie rinnovabili. Forse gli ambientalisti dovranno ancora attendere qualche anno prima di vedere un’America libera dal greggio; sperando che nessuno dimentichi subito il disastro di New Orleans.
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