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La Malfa? Uno sfascia piastrelle

La Cooperativa Ceramica ha 127 anni. Una storia di progresso sociale per tutto il territorio. Ma per la legge è un’azienda come le altre.

di Giampaolo Cerri

La riforma del diritto societario, in corso di approvazione al Senato, le mette in un angolo, spogliandole di ogni beneficio. Sono le cooperative che, secondo il nuovo articolo 5 della normativa, non rispondono, in maniera prevalente, al carattere di mutualità. Giorgio La Malfa, repubblicano che ora pendola a destra, alfiere storico degli interessi confindustriali e oggi presidente della Commissione finanze della Camera, lo ha spiegato a chiare lettere: queste sono aziende come le altre, basta agevolazioni fiscali.
Ironia della sorte, sotto la scure finiranno anche molte imprese nate dalla tradizione repubblicana, molto forte a cavallo del Novecento in Romagna. È il caso della Cooperativa Ceramica d?Imola, fondata nel 1874 dal mazziniano Giuseppe Bucci. «Dal 1870 al 1960, 25 milioni di italiani se ne sono andati dall?Italia e per quelli che sono rimasti, a Imola come altrove, è stata dura. Han cercato di guadagnare, se no mica mangiavano», racconta oggi il presidente Gianpietro Mondini, a capo, dal 90, di 170 soci e 1.200 dipendenti, un gruppo che fattura quasi 800 miliardi di lire comprese le società controllate e che l?anno scorso ha registrato utili per oltre 63 miliardi. «Siamo diventati grandi, ricchi», dice, «ma che questo sia una colpa, mi sembra davvero troppo». La riscrittura di quell?articolo 5 tira infatti un tratto di penna su oltre un secolo di storia, riducendola a cento anni di elusione fiscale. «Sì, lo Stato vuol tassare un capitale indivisibile, che viene lasciato in eredità alle generazioni successive, considerandolo alla stregua di quello di qualsiasi industriale». I cento, mille Mondini d?Italia sono arrabbiati. Guidano aziende solide, creano lavoro e oggi si sentono sulla graticola. Su di loro sta per abbattersi un?imposizione fiscale super: dall?Irpeg in giù, pagheranno tutto. Come chi gli utili se li mette in tasca, invece di reinvestirli per statuto. Loro ricordano il peso sociale della loro presenza sul territorio. «Io e altri soci, negli ultimi trent?anni, abbiamo contribuito a creare scuole libere, cooperative di formazione lavoro e tutto senza una lira dello Stato».
Senza contare, i milioni in piastrelle (circa 500 all?anno) donati a a case di accoglienza, ong, istituti religiosi. Dimenticando i convegni sull?arte, sull?imprenditoria e sul ?made in Italy? che, in una realtà come Imola, sono cultura tout court. «Io avverto che chi parla di noi non ci conosce e questo viene prima del problema della tassazione: pare che il nostro Paese ci voglia dare il benservito», commenta il presidente. Ma si può liquidare un?esperienza imprenditoriale dove, all?inizio del secolo scorso, c?era una scuola interna? «Gli apprendisti non potevano fare lavori pesanti e dovevano partecipare alle scuole, per imparare a leggere e a far di conto: il popolo doveva crescere moralmente per crescere materialmente» prosegue Mondini. «Un?affermazione normalmente sconvolgente, perché in genere si afferma che, quando uno ha i soldi, diventa intelligente». Già, dicono i La Malfa di turno, e la mutualità? «L?aspetto mutualistico sta nell?indivisibiità del capitale, fruibile da tutti per far vivere l?azienda e che non è privatizzabile».
Una bizzarria questa che non piace alle società di quelli che i capitali li tirano fuori e se li dividono quando sciolgono tutto. E chi i capitali non li ha, per cortesia, se ne stia a casa. «Questa legge è stata una vendetta», dice il presidente di Ceramica d?Imola, «ma noi siamo riusciti a rimanere autonomi anche in periodi più difficili. Non ci siamo piegati neppure davanti a Mussolini». E racconta di quando i fascisti imolesi volevano imporre assunzioni e soci. «Applichiamo lo statuto», risposero allora. Non che a Imola pretendano di mettersi sullo stesso piano della cooperativa sociale che inserisce i soggetti svantaggiati: «Una buona legge sul non profit potrebbe distinguere utilmente le aziende, dividendole in lucrative e non. Ma è inaccettabile che queste vengano considerate oggi come un accidente per il Paese». Così Gianpietro Mondini, cooperante presto ?non riconosciuto?, aderente a Legacoop e a Confcooperative nello stesso tempo perché, dice, «per noi il movimento cooperativo è uno solo».

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