Famiglia

La malattia è sempre una questione di famiglia

A partire dalla sua esperienza di mamma di un bimbo di otto anni con disabilità, Nicoletta Balbo, docente dell’Università Bocconi, studierà ciò che accade a genitori, fratelli e nonni quando affrontano la disabilità di un figlio o di un nipote. Il progetto Frailife (VitaFragile) ha vinto uno Starting Grant di 1.5 milioni di euro da parte dell’Erc, European Research Council. «Queste famiglie spesso cosi resilienti, altruiste, capaci di trovare soluzioni a problemi che sembrano irrisolvibili sono un valore per l’intera società»

di Sabina Pignataro

Conoscere meglio ciò che accade ai membri della famiglia, in particolare a genitori, fratelli e nonni, quando devono affrontare la disabilità di un figlio o di un nipote. E’ questo l’obiettivo di ricerca di Nicoletta Balbo, professoressa di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Bocconi di Milano, che con il progetto Frailife (VitaFragile) ha vinto uno “Starting Grant” di 1.5 milioni di euro da parte dell’Erc, European Research Council, l’organismo dell’Unione europea che finanzia i ricercatori con progetti di eccellenza scientifica per svolgere attività di ricerca di frontiera in Europa.

Per i prossimi cinque anni, Balbo e il suo team studieranno l'impatto della disabilità infantile sui membri della famiglia, concentrandosi in particolare sulle loro traiettorie di vita, tra cui la fertilità, la formazione e lo scioglimento delle coppie, la migrazione, l'occupazione; la loro salute fisica, mentale ed emotiva; la partecipazione sociale e l’impegno civile.

La sua esperienza personale

«La mia esperienza personale di mamma con un figlio di otto anni con disabilità – racconta- mi ha portato a voler capire e sapere di più sul funzionamento, bisogni, sfide e dinamiche delle famiglie che hanno un bambino fragile. Si sa davvero poco su queste famiglie, e conoscerle è il primo necessario passo per supportarle nel modo migliore».

«In questi otto anni di vita di mio figlio Vittorio, ho sentito crescere in me il bisogno e il desiderio sempre più forte di mettere le mie capacità di ricercatrice al servizio di questa causa che sento profondamente mia, nella speranza di poter fare qualcosa di utile per le famiglie come la nostra. Famiglie che affrontano una grande sfida, ma che hanno il diritto di essere felici e avere le stesse opportunità di tutte le altre, famiglie che hanno bisogno di sentirsi parte del mondo, e non un mondo a parte».

In questi otto anni di vita di mio figlio Vittorio, ho sentito crescere in me il bisogno e il desiderio sempre più forte di mettere le mie capacità di ricercatrice al servizio di questa causa che sento profondamente mia, nella speranza di poter fare qualcosa di utile per le famiglie come la nostra

Nicoletta Balbo

«La malattia è sempre una questione di famiglia»

In tutta l'Unione europea, circa il 4% delle persone sotto i 16 anni ha una disabilità e si sa che oltre 15 milioni di bambini in età scolare hanno bisogni educativi speciali. Le disabilità limitano i bambini nelle loro attività quotidiane e hanno un impatto sulle famiglie in una miriade di modi.

Tanto che secondo Balbo, «la malattia è sempre una questione di famiglia».
In particolare, spiega, «la condizione di malattia o disabilità di un componente della famiglia ha perciò conseguenze importanti sugli altri familiari, che molto spesso diventano i principali “caregivers”, modificando quindi le loro vite e loro scelte per supportare la persona fragile. L’Italia poi in particolare, è caratterizzata da un sistema di welfare che vede la famiglia come la principale istituzione responsabile della cura e del benessere dei suoi famigliari, soprattutto in caso di malattia.

Family Centered Care, ma fino ad un certo punto

A riconoscimento ed a sostegno di questo modello, negli ultimi anni si è diffusa la filosofia del “Family Centered Care” in caso di disabilità di minori. «Tale approccio riconosce nella famiglia il punto di forza fondamentale nel percorso di cura e assistenza sanitaria di un bambino malato. È quindi un modello di assistenza incentrato sulle famiglie, che prevede che tutti gli aspetti assistenziali siano tesi a sostenerle e coinvolgerle nel processo di cura, con l’obiettivo di migliorare la qualità, il benessere psicologico, i risultati clinici e l’esperienza complessiva del paziente e dei suoi familiari». Purtroppo, però, «spesso una parziale o inefficace implementazione di questo modello si traduce in un aumento degli oneri di cura per i familiari, che vengono lasciati troppo soli e con grandi responsabilità.

La letteratura esistente sulle famiglie con un figlio disabile è dispersa, costruita su piccoli campioni di convenienza, e spesso focalizzata su una specifica malattia; i risultati sono inconcludenti e non generalizzabili. «Frailife porterà le famiglie con un bambino disabile fuori dalla loro invisibilità, offrendo nuove e importanti intuizioni sul loro funzionamento, caratteristiche e sfide, informando al contempo politiche efficaci incentrate sulla famiglia».

La ricerca includerà una parte di analisi dei dati di diversi paesi europei, tra cui l’Italia, la Norvegia, la Germania, il Regno Unito, e guarderà anche a come le differenze culturali e istituzionali dei diversi contesti nazionali cambiano l’impatto che la disabilità di un bambino ha sulla vita di un membro della famiglia.

Non se ne parla abbastanza

«Mio marito, il papà di Vittorio, ha detto tempo fa una frase che mi ha colpito profondamente. “Noi genitori di bambini fragili ci troviamo a provare un amore “più grande”. E non solo per il nostro figlio fragile, ma anche per i suoi fratelli e sorelle che si trovano ad affrontare questa immensa sfida, che gli avremmo risparmiato con tutti noi stessi. Questo amore più grande va guardato, ascoltato, visto e sentito. Perché se impariamo a conoscerlo, possiamo davvero capire come supportarlo, dando reale risposta ai bisogni che si porta con sé. Ma possiamo anche valorizzarlo, perché queste famiglie spesso cosi resilienti, altruiste, capaci di trovare soluzioni a problemi che sembrano irrisolvibili, e piene di amore sono un valore per l’intera società. Parliamone di più, perché l’inclusione è un processo che passa attraverso l’empatia, cioè attraverso il mettersi nei panni di chi la fragilità la vive tutti i giorni, facendola diventare una grande forza».

Queste famiglie spesso cosi resilienti, altruiste, capaci di trovare soluzioni a problemi che sembrano irrisolvibili, e piene di amore sono un valore per l’intera società

Nicoletta Balbo

Il focus sulle madri

«La cura di un figlio con una malattia o disabilità – osserva la docente- comporta un grande onere di cura per i genitori, ed in particolare per la madre, che molto spesso è la principale “caregiver”. Le madri con un figlio con disabilità rinunciano spesso a lavorare, e quando non lo fanno, faticano enormemente a conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari. Si devono dividere tra visite mediche, terapie riabilitative, cure domestiche, e lavoro. Senza dimenticare che spesso in famiglia ci sono anche altri figli con i loro bisogni».

Inoltre, osserva, «alcuni studi mostrano come le madri con figli fragili tendano ad avere una salute fisica e mentale peggiore rispetto alle madri con figli in salute, sia per quanto appena detto, sia per lo stigma che spesso percepiscono negli altri per la loro situazione di diversità, che le fa quindi sentire sole, sia ancora per le grandi difficoltà che devono affrontare nel navigare un sistema burocratico e scolastico molto complesso». (Ne abbiamo scritto qui: Essere caregiver mette a rischio la salute (delle donne))

Inoltre le famiglie con bambini disabili sostengono costi medici e assistenziali mediamente più elevati. Se a questo si aggiunge lo svantaggio nella generazione di reddito legata al fatto che spesso un genitore smette di lavorare, il risultato è un significativo peggioramento delle condizioni di vita di queste famiglie, che mediamente sono quindi più povere.


L’impatto della disabilità sui fratelli

Dei fratelli, i cosiddetti “siblings”, «sappiamo davvero pochissimo, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze di lungo periodo della disabilità di un fratello sulle loro vite», chiarisce la docente. «Sappiamo che spesso da piccoli sentono il bisogno di essere “figli invisibili”, perfetti, per non creare altri problemi ai genitori già sopraffatti dalla cura del fratello o sorella fragile. Possono poi sentire la vergogna in pubblico per certi comportamenti o caratteristiche dei loro fratelli o sorelle, e possono sentire un forte senso di colpa e responsabilità. Ma non sappiamo veramente come questo si traduca nelle loro scelte di vita future, nelle loro decisioni famigliari e lavorative».

Come supportare queste famiglie?

«I principali interventi pubblici sono rivolti a sostenere queste famiglie dal punto di vista economico, supportandole con sussidi, o rendendo gratuite alcune spese mediche e assistenziali. Ma questo non basta. In Italia abbiamo l’immensa fortuna di avere un sistema scolastico totalmente inclusivo, dove i bambini e ragazzi con disabilità sono inseriti in scuole e classi “normali”, e non speciali. Ma per far funzionare questo sistema, per far sentire i ragazzi fragili inclusi e per insegnare agli altri il valore della diversità a fragilità servono tante risorse, sia per il personale che per le strutture adatte, che invece non ci sono.

Abbiamo l’immensa fortuna di avere un sistema scolastico totalmente inclusivo, dove i bambini e ragazzi con disabilità sono inseriti in scuole e classi “normali”, e non speciali. Ma per far funzionare questo sistema, per far sentire i ragazzi fragili inclusi e per insegnare agli altri il valore della diversità a fragilità servono tante risorse, sia per il personale che per le strutture adatte, che invece non ci sono.

Nicoletta Balbo

Mancano fondi, ma anche il tempo

Il problema è che un sistema del genere mal implementato può portare più danni che vantaggi, facendo sentire le famiglie con un figlio fragile ancora più sole e meno incluse. Un altro elemento importante su cui sarebbe necessario avere più risorse da investire è un sistema pubblico di cure riabilitative gratuite efficaci, intensive e tempestive. Le disuguaglianze geografiche in termini di accesso a questi servizi, tra zone urbane e non, e tra regioni, sono tristemente enormi. Infine, non dimentichiamoci che oltre alle risorse economiche, a queste famiglie manca “tempo”, tempo libero per i genitori, tempo per svagarsi e fare qualche attività piacevole. Se mancano centri capaci di accogliere, e non parcheggiare, i bambini con disabilità dopo la scuola, togliamo a questi genitori il diritto a del tempo per loro, e quindi il diritto ad essere felici nonostante le grandi sfide che devono affrontare».

Le associazioni o le famiglie che fossero interessate ad avere ulteriori informazioni possono scrivere a nicoletta.balbo@unibocconi.it

Foto in apertura tratta dal film Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più

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