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La magia del Dottor Sogni, cercando quell’“Ohh” che allarga il cuore
Il dottor Pelosone è uno dei ventinove Dottor Sogni di Fondazione Theodora. Grazie a loro l’ospedale diventa un teatro, e i bambini giocano liberandosi dalla paura. «Noi ci prendiamo cura della “parte sana” del piccolo paziente, quella che ha bisogno di esprimersi attraverso il gioco, la fantasia, il pianto e il sorriso»
Una folta barba, occhiali strampalati, camice colorato e palloncini. E’ così che il dottor Pelosone si presenta ai piccoli pazienti ricoverati in ospedale. «Sono come un orsetto di peluche che entra di stanza in stanza, di dolore in dolore, di speranza in speranza, cercando quell’“Ohh” dei bambini che allarga il cuore», racconta Antonio Panella, uno dei ventinove Dottor Sogni di Fondazione Theodora, artisti professionisti, specificamente formati per operare nei reparti pediatrici di alta complessità.
Grazie a loro l’ospedale diventa un teatro, e i bambini giocano liberandosi dalla paura. La siringa diventa una freccia da tirassegno. Un fazzoletto raccoglie i baci di una mamma e li infonde nella pancia.
«I Dottor Sogni non intervengono sulla malattia, che invece viene gestita dal personale sanitario, ma si prendono cura della “parte sana” del bambino, quella parte che ha bisogno di esprimersi attraverso il gioco, la fantasia, il pianto e il sorriso», spiega il dottor Pelosone. «Siamo un ponte tra la sofferenza e la vita di prima, che spesso si è interrotta all’improvviso lasciando un vuoto enorme»
«Quando entriamo in ospedale, partiamo dalla nostra paura. E dalla paura dei bambini, delle mamme e dei papà, dei dottori», racconta. «E a volte, davanti a noi, accadono piccoli miracoli: un genitore che canta, una madre e un padre si baciano». Paura della malattia e della morte sono presenze incancellabili in ospedale. A volte rabbia. Il tempo in ospedale è stravolto. Come nelle carceri: passa lentissimo. «Io cerco di stare con le orecchie dritte, in ascolto.
Con i Dottor Sogni non si ride, si sorride che è altra cosa.
I dottor Sogni entrano nelle stanze solo quando sono i bambini a chiamarli. «Solo così possiamo entrare nel loro mondo, che è come una bolla di sapone, delicata e fragile».
Ogni tanto qualche bolla scoppia. «Sì, qualche bimbo muore. Nella tasca ho un carillon lo uso quando non c’è più niente da fare, mi siedo accanto al bambino e comincio a suonarlo così, dolcemente. Buona notte fiorellino».
«Entrare in un reparto dove il dolore , la fatica e la morte convivono assieme e poter far emergere occasioni di vita, per me è una delle potenzialità e degli obiettivi del nostro lavoro», sottolinea ancora Antonio Panella. «Spesso la malattia è disintegrazione, perdita di “identità. Tenere insieme i pezzi aiuta a recuperare, a non percepirsi solo come malattia. Restituire questo sguardo attraverso l’arte e il gioco è parte fondamentale di un processo di cura integrato del piccolo paziente. Non sempre accade, ma quando succede è fonte di nutrimento vitale per tutte e tutti».
«Esiste una terapia medica, ma anche una terapia non medica», sottolinea il dottor Luca Manfredini, Responsabile de “Il Guscio dei Bimbi”, hospice pediatrico dell’Ospedale Gaslini di Genova in cui la Fondazione è presente dal 2019. «Lavoriamo in sinergia per prenderci cura a 360 gradi del bambino e della sua famiglia. Questo è fondamentale perché vuol dire offrire ai bambini non solo il farmaco, ma anche quell’attenzione e quell’esserci che, in alcune situazioni, può essere determinante».
Restituire luce al bambino paziente, dare la possibilità che torni a percepirsi persona e non solo malato, è uno nostri degli obiettivi di Fondazione Theodora Onlus che dal 1995 si prende cura delle emozioni dei bambini in ospedale attraverso il gioco e l’arte.
Il Dottor Pelosone è entrato in Theodora nel 2002 e visita i bambini ricoverati all’Ospedale Gaslini di Genova (presso i reparti di Ematologia Pediatrica e Oncologia pediatrica, ma anche in sala gessi e al Centro trapianti), poi all’Ospedale Sant’Andrea di La Spezia (in pediatria, neonatologia e patologia neonatale) e agli Spedali Riuniti di Livorno (pediatria).
Sono 45 in tutti i reparti di 17 ospedali: a Milano presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Ospedale dei Bambini V. Buzzi, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta, IRCCS Policlinico San Donato, a Monza presso l’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, a Pavia presso la Fondazione Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino, a Torino presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita, a Bologna presso Policlinico Sant’Orsola-Malpighi e Ospedale Bellaria di Bologna, a Roma presso il Policlinico Umberto I, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS San Raffaele Pisana, a Napoli presso Azienda Ospedaliera Pediatrica Santobono Pausilipon, a Padova presso Azienda Ospedaliera di Padova.
I ventinove dottor Sogni non sono volontari. Sono degli attori professionisti formati e retribuiti da Fondazione Theodora. Per diventarlo occorre infatti superare una selezione e seguire un percorso di formazione di sei mesi con sessioni artistiche, lezioni teorico – pratiche e un tirocinio in ospedale. E’ importante acquisire consapevolezza e coscienza dei propri limiti e delle proprie peculiarità rispetto all’attività richiesta e all’ambiente.
Quei capelli in una nuvola soffice
Ricordando un dei tanti momenti significati, il dottor Pelosone racconta quando un bambino ricoverato in oncologia doveva tagliarsi i capelli perché con la chemio li avrebbe persi, ma non voleva farlo. « Io ero in visita con il dottor Stropiccio e con la dottoressa Caucciu' che era in osservazione da Bologna. Il bimbo era seduto su una poltrona in un angolo della stanza e la mamma, dopo aver chiesto il permesso, ci invitò ad entrare nonostante il suo sguardo triste e stanco. Forse per tutti noi lì dentro quella situazione era troppo, troppo grande per un bambino vivere quello che stava vivendo, troppo per una mamma assistere a quello che succedeva, troppo per noi entrare e farlo giocare, forse la percezione di tutto questo troppo ci ha fatto iniziare questo gioco. Entrando abbiamo iniziato a chiedere dove è Antonio? A bussare nell'armadio, nel comodino, nel bagno, nel muro, nel pavimento, nel letto, ognuno cercava da una parte diversa, dicendo che ci stava facendo uno scherzo, che era lì ma non si voleva far vedere. A quel punto Antonio seduto sulla poltrona in silenzio ha cominciato a staccarsi i capelli che venivano ormai via dalla testa senza nessuna fatica e a farli cadere a terra, allora abbiamo messo un foulard colorato sotto e abbiamo detto “Guarda la magia, Antonio sa diventare invisibile ma ci sta facendo vedere che è qui dove spuntano questi capelli”. Così li abbiamo raccolti in questo velo colorato. Quando lui ebbe finito, abbiamo chiuso il velo con dentro quei capelli neri che erano diventati una nuvola soffice e leggera. Abbiamo ringraziato per questo dono e ho cominciato a dire “guardate che magia adesso Antonio si vede, è tornato visibile”. Lui rideva e a quel punto ho chiesto se prima di andare via ci diceva cosa dovevamo fare di quei capelli, lui ha risposto di tenerli e conservarli perché li aveva donati a noi sapendo che così non si sarebbero persi».
L’impatto della pandemia
Le famiglie dei bambini ricoverati in ospedale sono state messe a dura prova dalla pandemia, l’isolamento che vivevano già da ricoverati è stato rafforzato ancora di più: solo un genitore presente, niente sorelline o fratellini, niente amici, nessuna attività di umanizzazione. Il personale ospedaliero ha cercato di sopperire a questa mancanza, ma l’affaticamento generale era evidente.
Anche l’attività di Fondazione Theodora ha dovuto necessariamente cambiare forma. «Ci siamo inventati video visite, favole al telefono, audio libri e incontri con autori di letteratura per l’infanzia di alta qualità. E poi abbiamo cercato sempre di più di associare la missione in corsia ad una missione culturale di divulgazione della cultura della cura e del prendersi cura».
Il video “Una stanza tutta per sé” -realizzato dai Dottor Sogni e dallo staff Theodora – è rappresentativo di questo: racconta attraverso un video, l’incontro con l’infanzia, con il sogno, con sé stessi e con le fragilità.
Tutte le foto appartengono a Fondazione Theodora Onlus
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