Non profit
La mafia fa paura, la burocrazia di più
qui palermo J'accuse del presidente del Centro Padre Nostro erede di don Puglisi
di Redazione
Era il 15 settembre del 1993 quando l’allora parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, padre Giuseppe Puglisi, venne ucciso da un comando mafioso inviato dai boss Filippo e Giuseppe Grigoli e composto da Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Era il giorno del 56esimo compleanno di don Pino. Quindici anni dopo a Brancaccio la situazione è molto diversa da allora. È arrivata la scuola, tante volte promessa, è arrivata una biblioteca e anche una palestra. Ci sono pure un asilo nido e alcune case famiglia. Nonostante questo, molti progetti sono ancora in stallo. Non mancano i soldi, mancano le firme sulle carte.
Vita: Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro. Come sono stati questi 15 anni senza don Puglisi?
Maurizio Artale: Sono stati anni di lotta contro la criminalità. Abbiamo raccolto dei frutti, ma sarebbero stati di più se non fosse stato per la burocrazia. Le faccio un esempio. Il Comune ci ha donato 400mila euro per costruire, su un terreno che ci era stato regalato, il centro sportivo che don Pino sognava. Però ha cambiato la destinazione d’uso dello spazio, e se non preparano una modifica al piano regolatore entro novembre ci ritirano i soldi. Sono lentissimi, mentre la mafia i suoi problemi li risolve in pochi giorni.
Vita: Quanto pesano questi contrattempi?
Artale: Se le amministrazioni non capiscono che bisogna essere rapidi e rilanciare il territorio sul lato economico e su quello sociale, diamo una mano libera ai criminali. Se fermiamo i cantieri della mafia, ma non diamo lavoro in altro modo agli operai, questi scenderanno di nuovo in piazza a favore dei boss.
Vita: Almeno la gente è cambiata?
Artale: Molto, e in meglio. Ha più coscienza di cosa sia l’onestà e il rispetto degli altri. E ha più fiducia nelle istituzioni. Ma queste devono rispondere adeguatamente.
Vita: E non lo fanno?
Artale: Non sempre. Le nostre case famiglia non ricevono da otto mesi le rette comunali dai servizi sociali per i bambini. Non possiamo pagare gli stipendi delle assistenti e saremo costretti a rimandare sulla strada i piccoli e le donne che ospitiamo. Un segno di debolezza che rafforza la mafia. Se una madre denuncia degli abusi sui figli, viene nascosta in una delle nostre case, ma poi se queste chiudono e si vede costretta a tornare dalla famiglia, cosa le diranno? «Hai visto? Ti sei affidata allo Stato e guarda, sei di nuovo qui».
Vita: Insomma, serve una politica più forte?
Artale: Occorre che le istituzioni diano regolarmente i soldi che spettano al Centro Padre Nostro, non che sia il politico di turno a donarli, come se fosse un suo regalo, per poi chiedere sempre qualche favore in cambio. Abbiamo dimostrato di saper lavorare. Io posso assicurare che da quest’anno non andrò a elemosinare i soldi da nessuno. Se il Comune ci dà i fondi, non c’è nessun problema, altrimenti si chiude.
Vita: E per il futuro, sperando di evitare la chiusura?
Artale: Andremo avanti: Brancaccio è un laboratorio. Se puoi fare qualcosa qui, puoi farla ovunque.
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