Mondo

La maestra di Kabul, il libro di un sogno realizzato

Intervista all'imprenditrice sociale Selene Biffi, al centro della storia vera narrata nel libro scritto a quattro mani con Carlo Annese. La scuola per cantastorie, l'Afghanistan e una scelta di vita controcorrente: questi gli ingredienti di un'opera da non perdere

di Daniele Biella

Un altro mondo è possibile? Sì, grazie a persone come Selene Biffi. Che va in Afghanistan con un progetto rivoluzionario proprio mentre la comunità internazionale, Stati Uniti in prima fila, sta cercando il modo più ‘silenzioso’ per venire via da un paese oggi allo sbando nonostante i 13 anni di presenza della Nato, ovvero dalla reazione occidentale contro Al Qaeda e i Talebani dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001. È un ritorno, quello di Selene (oggi 32enne, originaria di Mezzago, in Brianza, ha ricevuto almeno 40 premi internazionali per il suo lavoro nel campo dell’innovazione sociale) a Kabul: vi era stata qualche anno prima come funzionaria dell’Onu in campo educativo, ci è tornata nel 2013 per scommettere sul miglior antidoto a violenze e sbando sociale, la cultura. “Ho deciso di aprire una scuola per cantastorie, un’antica tradizione che si sta perdendo ma che ha un valore immenso da quelle parti”, spiega. E così, in men che non si dica la Qessa academy apre i battenti e, tra mille difficoltà, porta al diploma i primi studenti. La maestra di Kabul (Sperling&Kupfer, 2014, 198 pp.) è il libro che Selene scrive a quattro mani con il giornalista Carlo Annese. Un libro vincente. E più che consigliato. Perché racconta una scommessa vinta e spiega, passo dopo passo, come un sogno possa diventare realtà.

 Perché scegliere di riprendere la tradizione dei cantastorie afghani e quindi recarsi in uno dei paesi più pericolosi al mondo?
I giovani afghani sono cresciuti con la guerra e gli attentati. Ma c’è dell’altro, c’è la possibilità di amare la propria cultura, le proprie origini, che si basano su racconti fondati su temi come dialogo e convivenza civile, per fondare una realtà nuova, diversa, capace di trasformare positivamente il conflitto. Per questo la scelta di andare a Kabul e, con l’appoggio dell’ong che ho fondato, Plain Ink (che redige libri multilingue per bambini, come Luna), scegliere i docenti locali per la scuola di cantastorie, tra cui un poeta molto amato dagli afghani.

La prima annualità della scuola è andata a buon fine, ma come si può leggere nel libro, i momenti difficili e pericolosi non sono mancati. Quanto ha dovuto mediare con la paura degli attentati o di non farcela a portare a compimento il progetto?
Ho lavorato per le Nazioni unite e mi rendo conto di quanto sia importante la sicurezza degli operatori internazionali, essendo stata presente a Kabul durante alcuni attentati, e nello stesso tempo so che è molto delicato da gestire il fatto di essere una giovane donna straniera che agisce per certi versi da sola in un luogo come l’Afghanistan. Ma superi la paura ricordando la tua motivazione di fondo, le ragioni che ti spingono a essere lì, la volontà di fare un lavoro preciso e che porti beneficio a chi ne ha bisogno.

Ora la Qessa Academy inizia il suo secondo anno, quali prospettive?
Quest’anno attiviamo tre cicli di scuole intensive, in particolare corsi per insegnanti delle scuole elementari e per ragazzi disoccupati in Dari e Pashto, le due lingue ufficiali dell’Afghanistan. Mi piacerebbe in futuro aprire altre scuole in altre zone del paese.

Come vede l’Afghanistan di oggi?
È una situazione compromessa da tempo, in politica locale non c’è un leader riconosciuto e la comunità internazionale è presente da decenni  e non ha cavato un ragno dal buco. L’occupazione Nato che dura da 13 anni, dall’invasione del 2001, ha portato sì lavoro a qualcuno, ma terribili scompensi dal punto di vista socio-economico: molta gente vive con due euro al giorno, la disoccupazione è al 40 per cento, il salario di un insegnante è 20 dollari al mese, di un chirurgo 80, mentre un autista dell’Onu arriva a 1500 euro e un traduttore ministeriale a 3mila euro al mese. E ora che il carrozzone internazionale sta per andarsene, le cose peggioreranno: i 20 miliardi di dollari investiti negli ultimi anni sulla rinascita del paese, dove sono finiti? Non se ne vede alcun impatto.

È appena stata dieci settimane negli Stati uniti, selezionata per la prestigiosa Singularity university, dove tra l’altro ha sviluppato un nuovo progetto sullo sradicamento delle mine antiuomo (Bibak), prima ha visto il Rolex Award per l’innovazione sociale, ambito su cui è molto prolifica da anni, tanto che nel 2012 è stata inserita nella task force dell’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera sulle start up, con la quale ha diffuso il documento Restart Italia, viatico della Legge 221/12 sulle start up a vocazione sociale. Se non sbaglio sono arrivate anche le sirene della politica…
Sì, tre partiti di schieramenti politici diversi mi hanno contattata per offrirmi un seggio in Parlamento, ma ho declinato. Kabul sarà pure pericolosa, ma il Parlamento italiano lo è ancora di più, perché nel mio caso specifico non si puntava a valorizzare il talento, quanto l’immagine o il nome da spendere, e questo non mi piace. Ancora oggi non rimpiango la mia risposta negativa, seppure maturata dopo un difficile ragionamento.

Tra i vari progetti attivi, quali in prima fila?
Le mie priorità al momento sono molte, cominciando dalla scuola a Kabul, che rimane in cima alla lista. Ci sono poi Plain ink e i nuovi libri e laboratori sull'intercultura per i bimbi italiani e Spillover, una statup a vocazione sociale che rende le ultime scoperte scientifiche più fruibili a bambini dagli 8 anni in su tramite videogiochi per Ipad. Insomma, non ci si annoia di certo.

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