Mondo

La lotta (vinta) dei Sarayaku arriva in Italia

Quando Davide batte Golia: nella selva dell'Ecuador 150 famiglie hanno resistito per anni all'azienda petrolifera che, con l'avallo del governo locale, cercava il petrolio a ridosso del loro villaggio. Intervista al filmaker invitato qui da Amnesty international

di Daniele Biella

Ci sono alcune storie che, quando le senti per la prima volta, non le dimentichi. Prendi quella degli indigeni Sarayaku: 150 famiglie, 1200 abitanti, che vivono da secoli nella natura incontaminata della selva amazzonica dell’Ecuador. Un idillio clamorosamente spezzato nel 2002, quando elicotteri e macchine per carotaggi petroliferi irrompono nella foresta, a pochi metri dalle palafitte, proprio nella zona del fiume dove i bambini fanno il bagno tutti i giorni. “Allontanatevi, quest’area è interdetta”, viene detto ai nativi. Ma loro non se ne vanno. Di più: protestano. Tanto da far arrivare la propria voce fuori dall’Ecuador, fino alla Corte interamericana dei diritti dei diritti umani, che ha base in Costarica, aiutati anche dall’appoggio di Amnesty International. “Passano anni, scontri fisici, denunce, pianti, ma alla fine ci viene data ragione, e la multinazionale che voleva sondare il terreno alla ricerca del petrolio se ne va”. A parlare è Eriberto Gualinga, 35 anni, uno degli uomini più in vista della comunità, attivista e filmaker che proprio in questi giorni è in Italia, per una serie di incontri pubblici in varie città (stasera 3 giugno è a Milano, il programma completo è sul sito di Amnesty.it a questo link) anche per presentare I discendenti del giaguaro, il suo documentario girato sulla battaglia con l’azienda petrolifera argentina che, con l’avallo del governo locale, era arrivata a minacciare l’esistenza del villaggio Sarayaku. Vita.it ha intervistato Gualinga appena arrivato, per la prima volta, nel nostro paese.

Il piccolo popolo Sarayaku che caccia la multinazionale dall’Amazzonia. Una favola, se non fosse vera…
Sì, è magnifico sapere che siamo riusciti a vincere la nostra battaglia, che a ben vedere è una battaglia simbolo di tante altre che oppongono i diritti umani di un popolo a interessi legati allo sfruttamento delle risorse terrestri. In questi anni abbiamo dovuto sopportare soprusi, arresti, il tentativo di dividere il nostro popolo, di corromperlo, ma ne siamo usciti uniti e a testa alta, grazie anche all’appoggio internazionale.

Come vi siete organizzati?
Continue assemblee pubbliche, più fotografie e filmati che venivano mandati subito alla stampa, alle università (la popolazione Sarayaku ha accordi con alcune università dell’Ecuador per progetti di ecoturismo nella zona, ndr) per arrivare all’opinione pubblica. Noi non abbiamo strade asfaltate, ci muoviamo fuori dalla comunità o con un piccolo aereo o con le canoe che percorrono il fiume Bobonaza, ma usiamo la tecnologia e Internet, fondamentali nella nostra lotta per difendere la terra in cui viviamo. Il passaggio più importante, comunque, è stato l’aver denunciato il nostro stesso stato alla Corte interamericana. Nel 2011, dopo otto anni di carteggi e burocrazia, abbiamo visto e ricevuto un indennizzo per lo scempio che aveva già compiuto la multinazionale prima che riuscissimo a far bloccare i lavori, mettendoci letteralmente davanti alle macchine. Ora non è finita, però.

Cosa volete ottenere?
La Corte ha esortato il governo ecuadoriano a chiederci scuse ufficiali, che non sono ancora arrivate. Così come non sono stati tolti dalla foresta tutti i materiali utilizzati per gli scavi. Ma quel che più conta ora e l’opera di socializzazione e solidarietà con altri popoli come il nostro: purtroppo alcune situazioni simili stanno avvenendo in tutta la regione, e noi dobbiamo offrire il nostro aiuto. È in atto l’undicesima ‘ronda petrolera’ del governo (una sorta di censimento delle aree potenzialmente utili per l’estrazione di petrolio) che sta minacciando vari territori indigeni. Rafael Correa, l’attuale presidente, agli inizi si era schierato con noi nella nostra lotta, poi nel tempo la sua posizione è cambiata e oggi appoggi apertamente l’azione di ricerca delle multinazionali.

La storia dei Sarayaku sta facendo il giro del mondo: il documentario ‘Discendenti del giaguaro’ ha vinto il premio del National geographic…
L’abbiamo girato proprio per diffonderlo il più possibile, perché è un esempio vincente di come si può vincere una battaglia di questo livello. Dura 28 minuti, ci sono immagini di repertorio dell’arrivo della multinazionale nel 2002 e anno dopo anno viene spiegata la nostra lotta di opposizione  nonviolenta, fino all’arrivo alla Corte interamericana e alla vittoria finale. Con la speranza che una minaccia del genere non ritorni mai più.


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