Formazione
La Lidap a rischio chiusura. Niente sponsor per chi aiuta i depressi
Dopo 12 anni, la lega italiana contro i distubi dansia è a corto di fondi. Lazienda che la sosteneva si è ritirata, e trovarne unaltra è dura.
Agosto è il mese del ?picco?, quando le telefonate si infittiscono e le richieste di aiuto si moltiplicano. Ma questo agosto 2003 verrà ricordato anche per essere l?ultimo mese in cui è squillato il telefono nella sede della Lidap. Perché dall?1 settembre si chiude. Per mancanza di fondi. «Abbiamo già fissato il consiglio direttivo per il 30 agosto», racconta Valentina Cultrera, la dinamica fondatrice e presidente della Lidap, la Lega italiana contro i disturbi d?ansia, d?agorafobia e di attacchi da panico, «e lì decideremo cosa poter mantenere al minimo. A meno che qualcuno non ci faccia trovare sul nostro conto corrente 20mila euro, dovremo chiudere la sede nazionale, nella quale lavorano due collaboratori a part time, e dire addio al coordinamento dei gruppi di auto-aiuto (una cinquantina in tutta Italia), alla help-line telefonica, alla formazione e all?aggiornamento dei volontari, al collegamento tra i 700 soci».
Sempre più giovani
Una notizia che certo rischia di peggiorare la situazione di chi già soffre di Dap, ossia di disturbi da attacchi di panico: un piccolo esercito misconosciuto, che si ripara tra le quattro mura della propria abitazione e che nella Lidap trova il luogo dove scoprire che non è solo, che guarire si può, e, soprattutto, che si può abbattere lo stigma che, spesso, si autoapplica. «Per fortuna, i gruppi di auto-aiuto sono autonomi e si sostengono con una parte della quota associativa, perciò gli incontri settimanali andranno avanti. Non so però quanto potranno durare senza un costante confronto e un continuo aggiornamento dei facilitatori, ossia di chi, grazie alla sua esperienza di ?dappista? guarito, guida il gruppo», tenta di rassicurare la presidente, «comunque l?ultima attività che chiuderemo sarà quella del sito, troppo importante per informare su questo disagio».
Disagio che è, purtroppo, in rapida crescita: in dodici anni, tanti ne sono passati da quando Valentina Cultrera ha fondato l?associazione, sono entrate in contatto con la Lidap quasi 50mila persone. Età media dai 17 ai 45 anni, in maggioranza donne, con un livello di cultura medio-alto, in prevalenza abitanti nelle regioni del Nord, è questo l?identikit di chi soffre di Dap. «Quello che più preoccupa, però», sottolinea, «è l?abbassamento precipitoso dell?età di inizio: ormai i primi disturbi insorgono anche a 14/15 anni e ci sono stati segnalati dei casi addirittura in età pediatrica. Ma di Dap non si parla». O, meglio, non si ascolta chi ne parla.
È questa la rabbia di Valentina Cultrera che, ora mamma felice, da ragazza ha provato cosa voglia dire essere vittime dell?ansia immotivata e del panico. «Sì, la rabbia è un sentimento che non mi ha mai lasciato da quando stavo male, la rabbia di non veder riconosciuto questo disagio, di sentire ignorato il suo impatto sociale», ammette la Cultrera. «Lo sa cosa abbiamo scoperto bussando alle aziende per cercare contributi? Che i disturbi da panico vengono considerati un problema del singolo, senza causa organica. E che associare il nome di un?azienda a un ?depresso? è una perdita d?immagine? Risultato: nessun contributo. Neanche quando offrivamo di svolgere dei servizi, come quello informativo per il quale potevamo contare, fino a due anni fa, sul contributo della Farmacia-Upjohn». Da quando l?azienda farmaceutica è stata assorbita dalla Pfizer, l?accordo è saltato e il bilancio dell?associazione ha iniziato a soffrire. Anche se tutto sembra deciso, Valentina non demorde. «Sentirete ancora parlare di noi».
Lidap onlus
tel. e fax 0187.703685
lidap@iol.it – LIDAP ONLUS
conto corrente postale 10494193
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.