Cultura

La libertà in scena a San Vittore

Un gruppo di detenute e di ex detenute hanno portato in scena “La tempesta” di Shakespeare, trasformandolo in un testo plurale, in cui hanno inserito le narrazioni delle loro “tempeste”. Uno spettacolo reso possibile grazie al lavoro del Cetec e al sostegno del Piccolo Teatro

di Giuseppe Frangi

L’Isola di Prospero, protagonista della Tempesta shakespiriana, è il rialzo al centro della Rotonda di San Vittore. Una volta lì c’era l’altare verso il quale confluivano i sei raggi. Oggi, al lato accoglie il presepe e per il resto lascia spazio alle attrici, detenute ed ex detenute, che mettono in scena Le Tempeste: uno spettacolo dove Shakespeare diventa un patrimonio plurale. Le Tempeste è l’esito del lavoro realizzato dal Centro europeo teatro e carcere diretto da Donatella Massimilla; uno spettacolo che il Piccolo Teatro ha inserito tra le sue produzione e che a marzo sarà possibile vedere anche fuori carcere. Intanto Le Tempeste sono andate in scena alla vigilia di Natale, alla presenza di un centinaio di detenute e detenuti e di un piccolo gruppo di ospiti esterni, tra i quali il direttore del Piccolo, Sergio Escobar. «Racconti, tempeste e naufragi» dice Donatella Massimilla, «sono specchio della deriva di ogni singolo e al tempo stesso l’arte, il teatro e la scrittura diventano il mezzo per salvarsi». A partire da quella scatenata da Prospero, protagonista dell’opera di Shakespeare, “Le tempeste” sono infatti quelle che hanno segnato le biografie delle attrici che sono sulla scena. Salendo sul palcoscenico-isola, si alternano ai personaggi del testo teatrale, in un dentro e fuori che non conosce fratture. Ad un certo punto va in scena anche un monologo rivisitato dell’“essere o non essere”. «Qui a San Vittore ogni mattina ci confrontiamo con i quesiti più elementari e allo stesso tempo essenziali. Che faccio? Mi alzo o non mi alzo? Sto in piedi o distesa nel mio letto?… “Siamo o non siamo?”… perché a noi non è dato filosofeggiare».

“Le Tempeste” sono anche un dialogo sulla libertà, a partire dal monologo-filastrocca del Calibano shakesperiano, “allegria, libertà!”, riproposto dalla una delle attrici in scena. In effetti la favola di Prospero controfigura dell’autore che alla fine spezza la bacchetta magica dice di una libertà riconquistata, di un ordine ristabilito, in cui è possibile dare una risposta al “Siamo o non siamo”. Il teatro si fa compagnia di vita. «Il palcoscenico è la costruzione mutevole del mio essere, la scenografia di frammenti nostalgici del mio non voler che esserci», scrive una delle detenute attrici.

Quella del Cetec è un’esperienza di libertà in senso vero. «A volte i detenuti grazie alla Direzione e alla Magistratura escono accompagnati solo da noi», racconta Massimilla, «replicano spettacoli di repertorio anche in tournée, del tutto uguali agli altri attori della nostra compagnia, con stesse responsabilità e di diritti». Per alcuni il teatro diventa anche un lavoro fuori dal carcere, come ne caso dell’Ape Shakespeare, esperienza di “street theater” che gioca ironicamente su una variante del celebre quesito: “To be or not to be”, che diventa “To Bee or not to Bee”. «Sono loro, i nostri detenuti che prenderanno il nostro testimone, a loro chiediamo serietà e capacità di Re Esistere», dice Massimilla. „Noi come Prospero, vorremmo scatenar Tempesta e ritrovare la nostra libertà».


Credit Foto: Marica Moretti (Piccolo Teatro Studio)

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