Welfare

La libertà di anziani e persone con disabilità nella Relazione del Garante

Nelle pagine in cui il Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale parla di anziani e persone con disabilità è centrale il riconoscimento del principio di autodeterminazione. Falabella (Fish): «Bene le parole del Garante»

di Sara De Carli

Non solo carcere e Rems: la Relazione al Parlamento del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale – un densissimo documento a tratti anche filosofico, imperniato sul concetto di tempo, con i contributi fra gli altri di Carlo Rovelli e Matteo Zuppi – parla anche di persone con disabilità e anziani, RSA e strutture residenziali. Centrale, nelle pagine cher parlano della recente Legge Delega sulla disabilità, di cui si attendono i decreti attuativi, il riconoscimento del principio di autodeterminazione, diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative, le sue scelte. Legge che dovrà dare effettività – dice il Garante – anche a questi concetti di libertà. «Riceve ampio riconoscimento il principio di autodeterminazione, come attestato dal fatto che il progetto personalizzato non solo deve essere “diretto a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte […]”, ma deve anche essere elaborato “con la partecipazione della persona con disabilità e di chi la rappresenta”. Significativamente la congiuntiva “e” soppianta la classica disgiuntiva “o”», annota la Relazione di Mauro Palma.

«Nella relazione presentata al Parlamento, il Garante ha posto l’accento sulla questione della tutela delle persone più anziane che si trovano all’interno delle strutture assistenziali, evidenziando il rischio che essa si confonda con la sostituzione della volontà della persona, prescindendo dagli aspetti emotivi e relazionali», commenta il presidente della Fish Vincenzo Falabella. Il Garante ha riservato grande attenzione al fatto che in questi ultimi due anni, «la residenzialità protetta abbia, in alcune circostanze, sconfinato con l’essere chiusa, fino a configurarsi come una vera e propria privazione della libertà dei nostri anziani, e, più in generale, delle persone fragili»: «Per questo esprimiamo soddisfazione per l’ormai consolidata azione del Garante a tutela della libertà personale delle persone con disabilità, auspicando allo stesso tempo che il lavoro sinergico e complesso svolto in questi anni possa proseguire con la stessa forza di innovazione anche nei prossimi anni. L’auspicio è di continuare a lavorare insieme alle associazioni e al Garante stesso per la salvaguardia del principio di autodeterminazione delle persone e per fare in modo che queste strutture siano luoghi sicuri, controllati, aperti e, soprattutto, rispettosi della libertà dei nostri anziani e di tutte le persone fragili».

Qui alcuni passaggi della Relazione a proposito di anziani, persone con disabilità, Rsa e strutture residenziali.

«Certamente, anche laddove i sistemi hanno retto l’impatto, il costo è stato altissimo e in molti casi tuttora presenta il suo conto: nelle residenze per anziani spesso si mantengono tuttora pressoché inalterate le limitazioni imposte alle visite dei parenti. Il rientro alla normalità è ancora lungo e inciampa in ostacoli perlopiù frutto di decisioni difensive, assunte in nome della prevenzione della diffusione del virus. La diversa prospettiva di tenere insieme la tutela della salute e l’integrità degli altri diritti della persona tra cui quello al mantenimento dei legami affettivi, essenziale in particolare per il benessere psico-fisico della persona, dovrebbe guidare a cogliere proposte e idee che scuotano il tradizionale modo di concepire questi luoghi», pagina 115

«Negli ultimi due anni anche le Residenze per anziani, chiuse per misure di prevenzione sanitaria hanno vissuto – e in molti casi tuttora vivono – una esperienza di tempo senza misura e di luogo senza significato. Le restrizioni hanno scandito lo scorrere quotidiano del tempo al loro interno secondo la misura della vacuità: assenza di attività trattamentali e di relazioni socio-affettive con il mondo esterno hanno acuito in modo sproporzionato la sofferenza di persone, già estremamente vulnerabili. E anche quando il tempo della vita all’esterno è tornato a essere misurabile come ordinaria socialità, il tempo all’interno delle Rsa è rimasto, di fatto, connotato dalla privazione. Il nontempo fatica sempre a ritramutarsi in tempo, misurabile e significativo», pagina 122

«Si devono perciò affrontare criticità irrisolte, come la limitazione delle visite dei parenti in nome della tutela della salute, la mancanza di spazi adeguati che garantiscano la riservatezza degli incontri con i familiari, la conservazione di impedimenti e ristrettezze all’accesso dei caregivers, la perdurante assenza di condizioni organizzative che consentano il contatto fisico tra familiare e anziano, con gravi esiti di regressione cognitiva e infine, in alcuni casi, la privazione di qualsiasi attività sociale per prevenire il contagio con conseguente perdita di significatività del trascorrere del tempo per la persona», pagina 228

«Bisognerebbe affrontare anche un altro nodo che impatta sulla cura e l’assistenza nei servizi che operano nelle strutture residenziali. Esso riguarda gli operatori e più in generale i caregivers che operano nelle strutture residenziali. Nell’etica delle prestazioni rientra anche la tutela di chi presta le cure, la libertà di scegliere una professione per vocazione, problema particolarmente vivo nella realtà odierna del nostro Paese, date le condizioni complessive del mercato del lavoro e la tendenza ad affidare il lavoro di cura come occupazione “residuale”, unica offerta a persone che si trovano in condizioni di difficoltà lavorativa, spesso persone immigrate. Non si tratta, quindi, solo del diritto della persona utente a una cura personalizzata, ma anche di quello del caregiver al riconoscimento del proprio lavoro anche attraverso una formazione specifica e una effettiva protezione rispetto al rischio di burn out e altre patologie specifiche della professione», pagina 229

foto Unsplash

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