Politica
La lezione di San Suu Kyi
Oggi sono 13 anni di arresti domiciliari. L'inviato Ue Fassino ha chiesto di nuovo la sua liberazione
Sono 13 anni oggi che il leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi è agli arresti domiciliari: nel ricordarlo, Robert Wood, portavoce del Dipartimento di Stato americano ha sottolineato come «negli anni di detenzione illegale Aung San Suu Kyi sia stata una solida luce di speranza ed una fonte di ispirazione per quanti vogliono una Birmania pacifica e democratica» e ha ribadito l’impegno americano a sostegno degli sforzi Onu per assicurare la liberazione dei prigionieri politici a Myanmar e promuovere la democrazia nel paese. «Il rilascio di Aung San Suu Kyi sarebbe un primo passo in direzione di un ritorno della Birmania nella comunità internazionale», ha proseguito Wood. La leader della Lega Nazionale per la Democrazia, arrestata la prima volta nel 1989, ha potuto beneficiare di pochi periodi di libertà da quando il suo partito ha vinto le elezioni nel 1990.
Oggi anche Piero Fassino, inviato speciale dell’Unione Europea per la Birmania, ha chiesto di nuovo la liberazione della leader birmana, candidata anche quest’anno al nobel per la pace. «Rinnoviamo ancora una volta la richiesta di liberazione di Aung San Suu Kyi costretta da tredici anni agli arresti domiciliari» ha scritto in una nota in occasione del compimento di 13 anni di arresti domiciliari. La sua liberazione, prosegue Fassino, «aprirebbe la strada all’avvio di quel dialogo tra la Giunta al potere, l’opposizione democratica e le comunità etniche che e’ la sola strada per realizzare in Myanmar la riconciliazione nazionale e un’effettiva transizione democratica verso le elezioni del 2010».
“Primo, non odiare”
Riportiamo un brano dell’intervista ad San Suu Kyi di Alan Clements contenuta ne “La mia Birmania , Aung San Suu Kyi in conversazione con Alan Clements” (edizioni Corbaccio, pp 370, euro 18), anticipata dal settimanale Vita da oggi in edicola.
Alan Clements: Lei è stata alla mercè fisica delle autorità fin da quando ha abbracciato la lotta per la democrazia del suo popolo. Il potere è mai riuscita a imprigionarla dentro, emotivamente o mentalmente?
Aung San Suu Kyi: No, e penso che sia per il fatto che non ho mai imparato ad odiarli. Se lo avessi fatto sarei davvero in loro balìa. Ha mai letto il romanzo Middlemarch di George Eliot? C’era un personaggio, il dottor Lydgate, il cui matrimonio si era rivelato una delusione. Ricordo in particolare un’osservazione su di lui in cui si diceva che quello che temeva più d’ogni altra cosa era di non riuscire più ad amare sua moglie, perché per lui era stata una delusione. La prima volta che lo lessi rimasi alquanto perplessa. Questo dimostra come fossi immatura all’epoca. Mi dicevo: ma non dovrebbe piuttosto temere che sia lei a non amarlo più? Ora invece capisco il suo sentimento. Se avesse smesso di amare la moglie sarebbe stato completamente sconfitto. Tutta la sua vita sarebbe stata una delusione. Io ho sempre pensato che se avessi cominciato ad odiare i miei carcerieri, il partito al governo, l’esercito, avrei sconfitto me stessa. Questo spiega anche il perché non sono paralizzata dalla paura. Se davvero fossi impaurita avrei fatto i bagagli e sarei partita, perché loro non mi avevano mai negato il permesso di andarmene. La gente mi chiede perché non li tema. Penso che sia perché non li odio, non si può avere paura di chi non odi. Odio e paura vanno a braccetto.
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