Mondo

La lettera di un missionario. Congo, otto pagine dall’inferno

Padre Silvano Ruaro racconta la distruzione della sua missione, a Mambasa. Un’escalation di violenza che ha provocato una fuga di massa (di padre Silvano Ruano).

di Redazione

Mambasa, novembre 2002 Caro padre Luigi, mi hai chiesto uno scritto per i confratelli. Adesso che mi accingo a mantenere la mia promessa mi sento un po? imbarazzato. Cosa dirvi? Che messaggio trasmettervi? Ieri compivo 64 anni. A cena abbiamo fatto una piccola festa, allietata dalla presenza di parecchi invitati: le suore, alcuni ragazzi della parrocchia, l?équipe dell?ong Cesvi e due francesi dell?ong Première Urgence. Il nostro confratello Serge mi ha fatto un cartellone di auguri. Ha centrato in pieno, credo, il senso di quanto viviamo e nello stesso tempo mi ha invitato a continuare: Padre Silvano?64 anni?tutto è grazia!. Dirlo e? crederlo, non è evidente. Soprattutto dopo quanto stiamo vivendo dal 19 agosto di quest?anno! Come in Ruanda Da allora hanno iniziato ad arrivare i primi rifugiati che scappavano dagli orrori di Komanda, Irumu, Badya, Nyankunde? Uomini, donne e bambini che avevano fatto al minimo 100 chilometri a piedi, e che avevano ancora nella mente l?incubo di quanto avevano vissuto. I loro racconti, pieni di rassegnazione e apparentemente senza emozione mi ricordavano gli episodi del genocidio del Ruanda. All?inizio di settembre cominciavano le scuole. Senza esitare abbiamo preso la decisione di aiutare tutti i ragazzi rifugiati. Non potendoli accogliere tutti nelle nostre scuole cattoliche abbiamo preso l?impegno di prendere a carico la loro scolarizzazione, pagando la retta, anche se si iscrivevano nelle altre scuole. La missione era diventata un alveare in piena attività. L?11 ottobre, però, l?amministratore del territorio è venuto a dirmi che ormai non c?era più speranza: i soldati dell?Rcd erano in fuga e dovevamo aspettarci il peggio. La gente, silenziosa e rassegnata, si è diretta verso i campi nella foresta. Il sabato mattina, verso le otto, si è scatenata la bufera su Mambasa: mortai, granate, crepitare di mitragliatrici? Io mi sono ritirato poco distante dalla missione, dove potevo seguire il via vai dei ?soldati? e indovinare, dal rumore, i loro sforzi per sfondare porte e finestre, rompere i lucchetti dei containers. Dal mio posto di osservazione vedevo questi ?bravi? che a torso nudo e col fucile spianato gridavano: «Siamo i liberatori, gli uomini di Bemba!». Il momento più brutto l?ho passato quando hanno deciso di ammazzare le mucche, che si trovavano a una decina di metri di fronte a me. Mi sono appiattito a terra cercando di farmi ancora più magro. Le pallottole facevano uno strano rumore: le mucche cadevano una dopo l?altra. I soldati ne hanno abbattute nove, sghignazzando, e poi se ne sono andati. L?Onu e la visita-farsa Nel pomeriggio sono rientrato alla missione. Ci sentivamo vuoti, privi di volontà, disposti a fare quanto ci domandavano pur di calmarli. Uno di loro, originario di Kisangani, ci ha detto: «Non resistete: fate quanto vi diciamo. Per quattro giorni noi abbiamo il diritto di fare quanto vogliamo: rubare, uccidere, violentare? E nessuno ci domanderà conto di questo. è così che ci paghiamo». La domenica mattina qualche cristiano coraggioso è venuto a vederci: ci siamo consolati a vicenda. I loro racconti si ripetevano: tutti avevano perso tutto, erano stati maltrattati, picchiati, avevano assistito impotenti alla partenza forzata delle loro figlie. Il 14 ottobre ho ricevuto la visita del colonnello Freddy Ngalimo, soprannominato effacer le tableau, come dire ?fare tabula rasa?. è arrivato alla missione scortato da un numero imponente dei suoi sbirri. Mi ha detto che era dispiaciuto per quanto era successo e che i colpevoli sarebbero stati puniti ? non sapeva neppure recitare bene, anche un bambino avrebbe capito che era una beffa. Gli ho detto: «Mon colonel, le parole sono come una busta: il loro valore dipende dal contenuto. Mi dica una sola ragione che giustifichi quanto avete fatto: rubato, distrutto, violentato anche ragazzine di 12 anni… Le lascio la scelta: o lei mi fa scomparire in questo momento, oppure le assicuro che quanto è successo si saprà dappertutto». Il 21 ottobre è arrivata una delegazione della Monuc (Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo, ndr). Una nuova beffa: il colonnello Ngalimo ha detto agli osservatori di essere entrato pacificamente a Mambasa e di aver fraternizzato con la popolazione, che ha accolto le sue truppe con gioia. Mi sembrava di avere acido solforico nel ventre, non sapevo come reagire, pregavo solo il Signore di restare calmo. Quando mi hanno chiesto di parlarmi da solo e visitare la missione, il colonnello si è opposto. Ho risposto alle domande di una giornalista della Monuc circondato da tre soldati. Tra due fuochi Nei giorni successivi è iniziato un nuovo inferno: Mambasa si è trasformata nel campo di battaglia tra i due fronti. Le truppe di Ngalimo faticavano a tenere la posizione e venivano alla missione per rifornirsi di carne, promettendo che prima di ritirarsi avrebbero distrutto e bruciato ciò che ne restava. Minaccia che non hanno potuto mantenere perché la domenica sera l?esercito rivale di Nyamwsi ha riconquistato la parte sud della città, dove si trova la nostra missione. L?8 novembre è arrivata un?équipe del Cesvi, con l?intenzione di constatare le necessità e intervenire per la popolazione. Il 9 e il 10 sono arrivati due camion da Beni con i primi soccorsi. Dal 19 agosto abbiamo assistito oltre 5.500 rifugiati. Alcuni sono ripartiti. Altri ne stanno arrivando ancora. Sapremo indovinare le necessità, le sofferenze della gente? Sento e sentiamo una grande responsabilità che ci fa paura? perché ci sentiamo piccoli, poveri, privi di tutto o con, al massimo, due pesciolini e qualche pezzo di pane? padre Silvano Ruaro


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