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La legge promessa: più aiuti, meno istituti

Buoni servizi da spendere in strutture pubbliche o private, una nuova scala delle indennità e finanziamenti più consistenti per Regioni e Comuni.

di Federico Cella

Il governo si sta muovendo? Sì, ma a lenti passi. E il disegno di legge di globale riforma dell?assistenza sociale, recentemente presentato dal ministro Livia Turco, ne è una tappa importante, ma ancora non basta: giudicato discreto, e buono in alcuni punti, deve ancora passare per diversi emendamenti, dicono gli esperti, prima di diventare legge accettabile. Due aspetti, per quanto riguarda l?assistenza ai disabili, appaiono comunque già chiari. Da un lato, la bontà della riorganizzazione degli interventi sociali, che dovrebbe fare chiarezza là dove adesso regna la confusione (per esempio, tra le indennità destinate ai soggeti disabili e quelle per gli anziani non autosufficienti). Dall?altro, la sensazione che per quanto riguarda l?assistenza nello specifico dei soggetti non autosufficienti e delle loro famiglie, si poteva e si doveva dare di più. Comuque sia, la riorganizzazione delle indennità non dovrebbe intaccare i diritti già acquisiti e, anzi, grazie alla nuova classificazione in quattro punti, esse dovrebbero risultare più funzionali; in particolare: il reddito minimo per l?invalidità totale, la provvidenza per quella parziale – che dovrebbe anche integrare una linea di accesso ai contratti di formazione lavoro – e l?indennità di accompagnamento e comunicazione, riconosciuta a prescindere da una valutazione del reddito. A queste si aggiungono i cosiddetti ?buoni servizio?, erogati dagli enti locali sotto forma di ticket del valore di un milione, spendibili in servizi assistenziali e sanitari sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private ma convenzionate. «Di un certo interesse, ma da valutare, sono quindi ?i progetti individuali integrati per le persone disabili non autosufficienti?», spiega Carlo Giacobini, del Centro documentazione legislativa della Uildm. «Questi dovrebbero venire realizzati dai Comuni in accordo con le Asl, puntando all?integrazione sociale. Infatti, l?idea generale del disegno legge è quella di arrivare all?autosufficienza delle famiglie dei disabili, limitando al minimo la permanenza dei soggetti negli istituti». Vedremo. Per quanto riguarda l?attuale legislazione, è certamente un buon segno la rivitalizzazione, a seguito del finanziamento di 202 miliardi nel triennio 1998/2000, di una legge abbandonata: la 104/92, la legge quadro ?per l?assistenza, l?integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate?. Essa dà le direttive agli enti pubblici competenti (Regioni, Comuni e Provincie autonome) per garantire tutte le forme possibili di aiuto alle persone handicappate durante la loro esistenza. Nella realtà, però, questa legge non è stata uniformemente recepita in tutto il nostro Paese, poiché, ancora oggi, alcune Regioni non hanno legiferato nulla ad attuazione della legge. Fra le Regioni che hanno già deliberato in materia di handicap – in seguito alle disposizioni della legge che trasferiva le competenze sull?assistenza dallo Stato alle amministrazioni regionali – vi sono la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l?Emilia Romagna, la Toscana, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Nel Centro e nel Sud, invece, la situazione è ancora molto confusa. Infine, va segnalata la modifica della legge 104, che introduce il principio della ?Vita indipendente? proprio per i disabili; progetti in tal senso hanno già ricevuto un finanziamento di 150 miliardi per il triennio. Infine, il decreto legge 669/96, che rende possibile la detrazione delle spese per l?acquisto di sussidi tecnici per persone con handicap, oltre ad applicare l?aliquota Iva agevolata. ?


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