Cultura

La legge del sangue: il nazismo come laboratorio per distruggere l’altro

Studiare il nazismo significa ricostruire l’universo mentale, il flusso delle idee comuni circolanti, le pratiche sociali. Un'analisi del libro di Johann Chapoutot, "La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti", da poco uscito per Einaudi, che ci aiuta a decostruire la narrazione nazista

di Pietro Piro

Il progresso dei metodi di analisi, ci permette oggi d’integrare mondi culturali diversi e apparentemente distanti e di utilizzare strumenti d’indagine complessi. Il tramonto delle ideologie novecentesche ci consente di leggere i fatti del passato con maggiore apertura mentale e l’analisi dei prodotti marginali ci consente di entrare “nelle case” degli abitanti di epoche trascorse. Discipline diverse come la sociologia, la letteratura, l’analisi dei media, la storia, la biologia, la scienza militare, da tempo hanno iniziato un fecondo dialogo che permette d’illuminare zone oscure del passato. Zone in ombra che c’impedivano ricostruzioni complesse, organiche, complete.

Il libro di Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti (Einaudi 2016, 472 pagine, 32 euro) è certamente un esempio ben riuscito di questa nuova tendenza culturale. Il libro è anche una provocazione. Per comprendere il nazismo dobbiamo sforzarci di pensare come i nazisti? Leggere i loro libri, vedere i loro film, seguire la loro dieta, praticale la loro ginnastica?

Ci vorrebbe un cuore duro come la pietra per non provare compassione per il povero tedesco e – è la stessa cosa – per non odiare e disprezzare gli ebrei e coloro che – per umanità! – parlano agli ebrei e sono troppo vigliacchi per schiacciare questi parassiti. Non si stringono negoziati con i vermi e i bacilli. Li si stermina, il più radicalmente e accuratamente possibile.

Paul de Lagarde

Di certo, se vogliamo comprendere, dobbiamo essere disposti a prendere sul serio le fonti e verificare quale sia il contenuto profondo del messaggio che cercano di trasmettere.
Chapoutot si è impegnato in questo sforzo e il libro che ha scritto è degno del massimo interesse.L’autore ritiene che «lo studio delle idee naziste e dell’universo mentale degli attori è particolarmente fecondo per comprendere quello che l’uomo può fare all’uomo» (p. 378). Studiare il nazismo significa in questo studio minuzioso e dettagliato – che crediamo diventerà un punto di riferimento imprescindibile per la comprensione del fenomeno nazista – ricostruire l’universo mentale, il flusso delle idee comuni circolanti, le pratiche sociali.

L’autore ritiene che «dobbiamo considerare che i nazisti sono stati uomini, molto semplicemente. Uomini che sono cresciuti e vissuti in contesti particolari – e illuminare tali contesti è uno dei compiti dello storico -, ma che condividono anche con altri e con noi il fatto di essersi sviluppati in un universo di significati e di valori» (p. 7). Chapoutot vuole ricostruire il “progetto”, la trama del racconto che risponde ad angosce e speranza dell’epoca. Ne ricava, alla fine, una convinzione: «il nazismo, per quanto singolare possa sembrare oggi, non fu soltanto un’estetica, ma anche un’etica offerta ai contemporanei smarriti» (p. 12) ma anche che il partito nazista era per i suoi membri, l’unica comunità in grado di porre e di proporre valori adeguati ai grandi problemi del momento (p. 13).

La morale nazista era dunque «olistica, particolaristica, eroica e sacrificale» (p. 15) una morale che prevede l’omicidio di massa come fase dolorosa ma necessaria per la realizzazione di progetti vitali per la sopravvivenza del popolo tedesco. «Il nazismo è una visione del mondo, cioè, in primo luogo una visione della Storia, un racconto singolare, che continua dovunque, in ogni istante e sotto tutte le forme, a raccontare il passato della razza, le sue gesta, le sue prove, le sue glorie e le sue sventure.[…] Questa storia, continuamente narrata, ha una essenza normativa: il racconto segreto della norma, una norma che detta come agire, e perché» (pp. 371-372).

Il programma nazista sostituisce alla nozione liberale di individuo e al concetto marxista di umanità il popolo (Volk) determinato dal suo sangue (Blut) e radicato nel suo suolo (Boden). Questo popolo un tempo buono e sincero, amante della natura, eroico e valoroso è stato corrotto e degenerato da idee malsane, dall’acculturazione ebraico-cristiana e per ricostruire una razza pura sarà necessaria una rivalutazione dei valori che permetterà di liberarsi da questa gabbia e di ritornare all’infanzia dolce della razza perfetta. In questa cornice: «il tutto precede la parte, l’individuo non è nulla di fronte al Volk che gli conferisce senso ed esistenza; l’umanità universale è una chimera, e conta solamente, come realtà tangibile e normativa la Volksgemeinschaft germanica, unita da un sangue e da valori comuni» (p. 373).

Il nazismo è una visione del mondo, cioè, in primo luogo una visione della Storia, un racconto singolare, che continua dovunque, in ogni istante e sotto tutte le forme, a raccontare il passato della razza, le sue gesta, le sue prove, le sue glorie e le sue sventure.[…] Questa storia, continuamente narrata, ha una essenza normativa: il racconto segreto della norma, una norma che detta come agire, e perché

Johann Chapoutot

Chapoutot crede che per comprendere il nazismo è necessario prendere sul serio i testi, le immagini e le parole che sono state prodotte. Da questa attenzione si può ricavare che le idee radicalizzate sino alle estreme conseguenze dai nazisti appartenevano a un fondo di idee comuni, circolanti in tutto l’Occidente. Il nazismo è stato dunque un movimento di idee con valore normativo e imperativo che era capace di rispondere a queste domande: come agire per evitare che la Germania muoia? Quali norme eseguire perché la vita tedesca cresca e si moltiplichi, e perché la razza germanica si proietti in un avvenire sicuro, lontano, addirittura infinito? (p. 17).

I testi che contengono queste risposte sono analizzati «in quanto sintomo, matrice e progetto» (p. 18) le risposte aboliscono ogni forma di universalismo e rimandano di continuo all’imperativo dettato dal sangue, aboliscono il richiamo alla coscienza individuale e impongono la coerenza come valore supremo. Chi si commuove per la brutalità dei metodi adoperati dalle SS per realizzare i progetti del Reich è un imbecille e un codardo (p. 355). Bisogna in ogni occasione «agire con freddezza e senza emozioni, perché provare emozioni significa condividere l’animalità dell’ebreo» (p. 325).

Il nazismo è stato un enorme laboratorio biopolitico (l’antisemitismo biomedico è il suo più radicale prodotto) e si è servito di tutte le discipline e di tutti gli intellettuali attratti come le falene dalla luce mortale della candela hitleriana per costruire la sua narrazione di morte e di sterminio. Oggi sappiamo – anche grazie a questo nuovo studio – che questa narrazione rispondeva a bisogni, leniva angosce profonde, rendeva coerente e leggibile un mondo ritenuto corrotto, degenerato, pericoloso. Una narrazione normativa e performativa che indicava cosa fare e come fare ogni cosa. È dunque abbastanza chiaro ormai, come il nazismo sia stato una riposta a domande cariche di angoscia. Tuttavia, la qualità di queste risposte non solo è distruttiva e carica d’odio ma implicava necessariamente la distruzione dei suoi protagonisti. Basando l’idea della propria sopravvivenza sulla distruzione dell’altro in quanto portatore di sangue contaminato, era prevedibile che si sarebbe andati incontro alla reazione di popoli non disponibili a essere ridotti in schiavitù o a essere eliminati dalla Storia.

La reazione c’è stata e il Nazismo è stato sconfitto. Hitler di fronte alla disfatta accusa il suo popolo di debolezza e, di conseguenza, è nell’ordine delle cose che sia stato annientato da un popolo più forte. Da un sangue più tonico e più aggressivo. La narrazione nazista non prevedeva il riconoscimento dell’altro, del diverso, del debole, del bisognoso, come elemento fondativo della vita comunitaria. Questa mancanza di riconoscimento e di riconoscenza impedisce la cooperazione e la crescita armoniosa e distruggono i legami di solidarietà e di fraternità.

Si pensi liberamente quello che si vuole ma la Storia ci ha dimostrato che se l’umanità ha un avvenire, questo sarà possibile e realizzabile solo nella prospettiva della cooperazione, nel superamento delle barriere, nella reciproca alleanza. Un'umanità meticcia, multiculturale, tollerante, inclusiva, aperta, solidale, equa. Esattamente il contrario di tutto quello che proponeva la narrazione nazista. Un incubo che ancora ci minaccia, una tentazione diabolica che ancora ci provoca e ci terrorizza.

Il libro

Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e acire da nazisti, traduzione di Valeria Zini, Einaudi, Torino 2016, 472 pagine, euro 32.

I fondamenti, le forme, i modi di funzionamento del credo nazista come prodotto avvelenato di tutta la cultura e società tedesca. Una cartografia integrale dei saperi e delle credenze che fecero da architrave alla politica dello sterminio. Il nazismo come enorme laboratorio biopolitico (di cui l’antisemitismo biomedico è il suo più radicale prodotto), capace di usare tutte le discipline in funzione della morte.

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