Welfare
“La legge del mercato”, la guerra tra poveri
Includere il lavoro nell’economia di mercato e affidarlo al libero gioco dell’offerta e della domanda, ha significato subordinare l’essenza stessa della società alla versione più liberista del capitalismo finanziario. Questo è il cuore del film “La legge del mercato” di Stephane Brizè
Ha iniziato ad osservare la brutalità dei meccanismi e dei rapporti dominanti nel nostro mondo dove si elimina quello che non rende perché il denaro regola qualsiasi attività umana. Il risultato è La legge del mercato, il film di Stephane Brizè che dopo essere stato acclamato a Cannes arriva anche in Italia, otto mesi dopo l’entrata in vigore del Jobs Act.
Un film di secco realismo sulla nuova classe lavoratrice strozzata dalla crisi e in perenne ricatto. «Ho osservato un uomo che dopo 25 anni di lavoro viene mandato via non perché l’azienda sia realmente in difficoltà ma perché i padroni hanno deciso di trasferire la fabbrica da un'altra parte, dove la manodopera costa meno. La molla che spinge i top management a far fuori gran parte della forza lavoro è puro egoismo finanziario. Bisogna far salire il valore delle azioni della società. Se una volta le imprese fondavano il loro successo e la loro capacità gestionale su una strategia fondata su ciò che producevano, ora al centro del processo economico ci sono gli azionisti».
La legge del mercato esplora l’altra faccia delle statistiche che leggiamo ogni giorno sui giornali o ascoltiamo in televisione su decine di milioni di famiglie d’Europa colpite dalla disoccupazione. Cifre dietro le quali ci sono tragedie umane. Includere il lavoro nell’economia di mercato e affidarlo al libero gioco dell’offerta e della domanda, ha significato subordinare l’essenza stessa della società alla versione più liberista del capitalismo finanziario.
Si racconta di un sistema economico che distrugge risorse e coscienze e dove c’è chi si arricchisce ancora di più, e chi invece diventa sempre più povero. Un tema quello della disuguaglianza di cui si parla molto ma una ricetta per trovare una soluzione non ce l’ha nessuno
Vincent Lindon
È Vincent Lindon, premiato al festival di Cannes come miglior attore, ad interpretare Thierry, un uomo a cui viene affidato il compito di svelare le contraddizioni del mondo del lavoro, visto come una specie di giungla che va avanti con la logica della mors tua vita mea. Sono passati 20 mesi da quando la sua azienda lo ha licenziato, e ora, dopo inutili corsi di perfezionamento, colloqui preliminari presso società di ricollocamento, demoralizzanti interviste via Skype con reclutatori che si sentono onnipotenti nel momento in cui selezionano, e consulenti di banca che cercano di convincerlo a vendere la casa, l’uomo accetta un posto di sorvegliante in un supermercato.
Il cuore del film è il posto di un uomo in una cultura nettamente sbilanciata verso l’egoismo di pochi e dove la solidarietà è inesistente. Ogni giorno, in Italia come in altri paesi, si sente infatti parlare dell'ossessione per la prestazione nel lavoro e della violenta istigazione alla competizione tra i dipendenti. Il protagonista Thierry si trova a svolgere un lavoro che lo costringe ad una situazione moralmente inaccettabile. «Eppure tutti, ognuno a proprio modo, anche senza scegliere di volerlo, sono vittime della violenza di questo mondo, del nostro mondo». Il regista punta il dito verso quegli imprenditori che pur di fare soldi, abusano psicologicamente e fisicamente dei propri dipendenti. «Oggi le aziende, in particolar le multinazionali, detengono un’enorme quantità di potere. Sono gestite come una dittatura che brandisce un’arma nucleare. I dipendenti sono considerati poco più che carne da macello. A quel punto cosa rimane della loro dignità? dice il regista. “Ed è questo che ho voluto indagare».
Così il film mette il pubblico di fronte ad un dilemma morale. Diventare complice anche noi di un sistema spietato o decidere di ritornare ad una vita instabile?
«Per me questo è fare politica», aggiunge Lindon, anche coproduttore del film. «Si racconta di un sistema economico che distrugge risorse e coscienze e dove c’è chi si arricchisce ancora di più, e chi invece diventa sempre più povero. Un tema quello della disuguaglianza di cui si parla molto ma una ricetta per trovare una soluzione non ce l’ha nessuno».
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