Mondo

“La guerra? Un peccato di presunzione”. Coletta, mio marito

Margherita Coletta all’indomani della tragedia lesse davanti alle telecamere una pagina del Vangelo: quella in cui si dice di amare i nemici.

di Gabriella Meroni

Non te lo aspetti, da una così, da una che poche ore dopo aver saputo che le era morto il marito in Iraq è andata in televisione a leggere dal Vangelo “amate i vostri nemici”. Eppure quando chiedi a Margherita Coletta cosa le manca di più di suo marito, lei di getto risponde: “La carne”. Sì: “Mi manca il fatto che non lo posso più abbracciare, accarezzare. Mi manca lui, lui”. Margherita Coletta è una donna coraggiosa, anche se ancora frastornata. Per lei è il secondo colpo, dopo la morte del figlio Paolo, ucciso a cinque anni dalla leucemia. Al telefono da Avola, città natale sua e del marito, il vicebrigadiere Giuseppe Coletta, è circondata dall?affetto e dalla presenza anche un po? rumorosa di amici e parenti. Oltre che di don Fortunato Di Noto, il sacerdote antipedofili che ha celebrato i funerali privati di Coletta ed è amico di famiglia da una vita. Vita: Signora Coletta, tutti la ricordano per il brano di Vangelo che lesse in televisione poche ore dopo l?attentato in cui perse la vita suo marito. Dove ha trovato il coraggio per fare una cosa del genere? Margherita Coletta: La verità è che non so nemmeno io come ho fatto. A un tratto mi è venuto in mente di prendere il Vangelo e di leggere qualcosa. Stavo cercando un altro passo, poi mi si è aperta la pagina a caso e ho iniziato a leggere. Vita: Quindi è stato un caso? Coletta: Sì e no. Ho voluto prendere la Bibbia, però la scelta del brano non è stata mia. È stato come ricevere un messaggio, anche se questo l?ho capito dopo, non subito. Vita: Oggi, che è passato un po? di tempo, qual è il modo migliore per ricordare suo marito? Coletta: Non ricordare solo lui, innanzitutto. Lui non avrebbe voluto. Erano tutti lì per lo stesso scopo. Non sapevano a cosa andavano incontro, ma sono andati, perché dovevano e perché volevano. Ricordare significa continuare, a tutti i costi, anche a costo della vita. E non parlo solo dei carabinieri o dei militari, ma di qualsiasi persona, in qualsiasi ambito, qualsiasi cosa debba fare. Vita: Continuare il proprio compito, quindi? Coletta: Sì, il proprio compito. Anche se costa. E comunque seguire il Vangelo, seguire Gesù, costa. E costa tanto. Però si è ripagati. Vita: Mi perdoni, è strano che lo dica proprio lei. Coletta: Se Gesù ha permesso questa morte, l?ha permessa non per farmi del male ma perché c?è un disegno più grande dietro. Ne ho la certezza assoluta. È qualcosa di più grande che deve accadere, e già si vede. La solidarietà che ci hanno dimostrato, l?affetto della gente. Il Signore ci ha voluto gratificare anche sulla terra. Vita: Sente molta vicinanza a lei in questo momento? Coletta: Sì, davvero. Immaginavo che questa tragedia toccasse le persone, ma mai in questo modo. Ha colpito tutti, indistintamente. Vita: Suo marito, facendo il carabiniere, seguiva il Vangelo? Coletta: Certo, anche. Magari non apriva il Vangelo tutti i giorni, però faceva le opere, e fare le opere è meglio che leggere e non mettere in pratica. Nella nostra famiglia la fede è entrata di prepotenza dopo il dolore di Paolo, un dolore che siamo riusciti a sopportare perché eravamo assieme. C?era qualcosa tra noi che neanche la morte riuscirà mai a cancellare, mai. È troppo forte il legame, troppo grande. Vita: Adesso lei ha una bambina di due anni. Come le parlerà di suo padre? Coletta: Gliene ho già parlato. Lei sa tutto, è venuta al cimitero a portare i fiori a papà. Vita: Come vi siete conosciuti, lei e suo marito? Coletta: Siamo tutti e due di Avola, ci siamo incontrati da ragazzi, in strada, come si fa nei paesi. Poi quando lui aveva quasi finito il corso da carabiniere e venne assegnato vicino a Napoli ci siamo fidanzati, e sono vent?anni che stiamo insieme. Vita: Con gli stessi ideali? Coletta: Gli stessi. Qualcuno oggi mi chiede se ho rimpianti per non averlo fermato, per non avergli impedito di partire, ma io rimpianti non ne ho mai avuti. Mai, mai. Le sue scelte erano anche le mie, perché lui faceva tutto per il bene, era… propenso per il bene. Quindi non l?ho mai ostacolato. Vita: C?è chi osserva come i carabinieri, i soldati, sono comunque persone che portano un fucile, un?arma. Non è in contraddizione con la pace? Coletta: Questo è un problema su cui ho sempre riflettuto senza mai trovare una risposta. Io sto a quello che diceva e faceva mio marito: lui non ha mai usato le armi, lui aiutava i bambini, andava a portare gli aiuti. I suoi colleghi mi hanno detto che all?ospedale di Nassiriya lo conoscevano tutti. L?arma in sé non vuol dire niente, è la persona che conta. Io so com?è mio marito e questo mi basta, mi bastava. Vita: Lei è stata dal Papa. Cosa le ha detto? Coletta: Desideravo vedere il Papa, ma non sapevo che l?avrei incontrato. Infatti quando mi hanno chiamato e sono salita da lui, non capivo, non sentivo? non gli ho neanche baciato l?anello. Qualcuno gli ha detto che ero la moglie di un carabiniere caduto, io avevo solo voglia di abbracciarlo. Vita: Il fondatore di Cl, monsignor Luigi Giussani, ha scritto una lettera in cui la paragona al cuore di Dante quando scrisse l?inno alla Vergine. Coletta: Sì, me l?hanno detto. Mi dispiace, ma quella lettera non l?ho ancora vista? so che le mie parole hanno dato forza a tante persone, ma io non so perché le ho dette. Ho detto qualcos?altro oltre a leggere il Vangelo? Vita: No, credo di no? Coletta: Io non me lo ricordo, vede? Comunque è qualcosa che mi è stata ispirata. Non è un?opera umana. È Gesù che ti rende così, non ti fa essere disperato, ti dà tanta speranza e pace dentro. L?affetto delle persone c?è e rimane, ma è diverso: la pace che può dare Lui nessun essere umano la può dare. Nessuno. Vita: Lei cosa pensa quando sente arrivare altre brutte notizie dall?Iraq? Coletta: Penso che c?è bisogno di pregare di più. Non c?è altra arma. Tutto ci è stato donato, nessuno ha il diritto di impadronirsi della terra. La sete del dominio è qualcosa che non riesco a concepire. Era giusto fare qualcosa per il popolo iracheno oppresso dalla dittatura, da un pazzo come Saddam, però si è sbagliato il modo. Vita: Cioè? Coletta: Non lo so, non sono un politico, credo però che se si fosse mediato di più, se ci fosse stata più riflessione forse le cose sarebbero andate diversamente. Ci voleva meno presunzione, ecco. Vita: Nonostante questo, secondo lei ora i nostri soldati devono rimanere in Iraq? Coletta: Certo che devono rimanere, ma per gli iracheni. Anche se potessero portare un po? di sollievo a un solo bambino là, dovrebbero rimanere. Vita: Quando suo marito le ha detto che partiva per l?Iraq, ha avuto paura? Coletta: Un po?, ma non pensavo fosse così dura. Lui mi diceva che la situazione non era pericolosa, che tutti gli volevano bene. Mi parlava soprattutto dei disagi che soffriva la popolazione, dei bambini in ospedale che non avevano nemmeno la soluzione fisiologica per le flebo. Mi diceva: “Hai presente l?Albania?”, perché io sono stata con lui in Albania per un periodo, “Ecco, è mille volte peggio. Mille volte. Qui non c?è niente”, mi ripeteva. Vita: Cosa faceva suo marito durante la giornata? Coletta: Lavorava moltissimo, con gli altri colleghi, tanto che la sera spesso si coricava con ancora addosso la divisa. È brutto adesso perché dopo l?ultima telefonata mi dicevo forza, mancano solo tre giorni, e invece non è più tornato. C?erano altri piani, per lui. Vita: Le hanno restituito gli oggetti di suo marito? Coletta: Mi hanno mandato il berretto, il portafoglio? manca ancora qualcosa che mi faranno avere. Poi vorrei incontrare i sopravvissuti di Nassiriya per ricordare i quattro mesi che hanno passato insieme a mio marito. Vita: Adesso cosa farà, rimarrà qui ad Avola? Coletta: Qui ci sono i miei genitori, la mia famiglia. La bambina ha i cuginetti. Ora il mio posto è qui. Vicino a Giuseppe.


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