Mondo

La guerra tra Dilma e le ong

Il governo brasiliano favorisce grandi progetti idroelettrici e non preserva le foreste

di Paolo Manzo

È iniziato nel peggiore del modo il 2012 per la conservazione della biodiversità amazzonica e delle foreste brasiliane. Il governo della presidente brasiliana Dilma Rousseff sembra infatti aver cambiato rotta nella gestione della lotta al disboscamento in Amazzonia. Di questo almeno

sembra essere convinto un numero crescente di analisti, a cominciare dal corrispondente del New York Times, Alexei Barrionuevo, e non più solo attivisti, ong e comunità indigene, le prime a soffrire a causa della “visione produttiva” dell’esecutivo brasiliano rispetto al più grande polmone verde del pianeta. Non bastasse, infatti, il grande interesse di governo verde-oro e multinazionali per il “business etanolo” – in sostanza ottenere carburanti dalla canna da zucchero, la cui produzione viene aumentata, nel Paese del samba come nel resto del mondo “ad influenza brasiliana”, sottraendo spazio alla foreste –, il 2012 è iniziato con l’adozione di una legge, la 558/12

firmata da Dilma, che persino il prestigioso quotidiano statunitense, solitamente assai tenero con Brasilia, ha denunciato. La misura, aspramente criticata anche da WWF Brasil e Greenpeace, stravolge geograficamente la tutela del verde, restringendo i confini di almeno tre parchi nazionali all’interno della foresta amazzonica che sinora erano stati preservati, almeno in teoria, “ex lege”. La 558/2012, insomma, favorisce il disboscamento illegale. Alla base della legge, pubblicata già in Gazzetta Ufficiale, c’è un motivo assai concreto e poco “ideale”: la costruzione di due centrali idroelettriche “monster” sul fiume Tapajos, affluente del Rio delle Amazzoni, quelle di Sao Luiz e di Jatobá. Per Carlos Rittl, coordinatore del programma Cambiamenti climatici ed Energia di WWF Brasil, a questi progetti «esistono alternative e potenzialità concrete, ma manca la volontà politica».


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