Volontariato

La guerra messa a nudo da una mamma

Con la forza della debolezza ha dimostrato l’impotenza della potenza. Ha perso il figlio in Iraq e staziona di fronte al ranch di George W. Per il ritiro dei soldati Usa da Bagdad

di Marco Revelli

L?immagine di Cindy Sheehan in attesa su uno spoglio prato di fronte all?immenso ranch di George W. Bush è diventata un simbolo. Della forza della debolezza. Dell?impotenza della potenza. Dell?efficacia della nonviolenza. Cindy Sheehan non minaccia, né lancia bellicosi proclami. Non ha bodyguards, né muscolosi seguaci. Non intralcia neppure il traffico. Se ne sta lì, forte della propria sola presenza, senza pretendere d?imporre nulla, chiedendo una sola cosa: un incontro; che l?uomo che con le proprie decisioni ha causato la morte di suo figlio, guardandola in faccia, dia conto di ciò. Sembrerebbe un confronto impari, tra l?uomo più potente e armato del mondo e questa fragile donna di 47 anni, che poco più di un anno fa, il 4 aprile del 2004, ha perso il figlio ventiquattrenne, ucciso durante la rivolta sciita di Sadr City. Tra il capo della lobby petrolifera che detta la politica del mondo e che ogni volta che apre bocca mobilita i media globali, e questa casalinga di Vacaville, in California, riconoscibile solo dalla qualifica di madre. Eppure è un confronto che Cindy Sheehan sta vincendo, inequivocabilmente. Tra i due chi scappa (il vero coward, termine che tanto gli è consueto) è il comandante in capo dell?esercito che pretende di riordinare il mondo, costretto a scantonare, deviare, guardare da un?altra parte se vuole andare a divertirsi a un?allegra grigliata tra amici, o a spargere un po? di retorica a un raduno di veterani fedeli, mentre lei, ferma sulla soglia del centro dell?impero, è la vera inseguitrice. Dimostra, con il silenzio dell?altro, l?evidenza delle proprie ragioni. Vincendo la sfida delle parole – le sue poche, semplicissime, autoevidenti parole contro il fragoroso silenzio dell?altro – conquista il terreno della ragione. Utilizzando la sola arma del linguaggio, la sola forza della parola, afferma l?assoluta fondatezza delle proprie ragioni. Dal prato di Crawford, in poche settimane, Cindy Sheehan ha fatto più strada nelle coscienze dei suoi connazionali e nell?immaginario collettivo globale di quanto il potere armato del suo sfuggente antagonista abbia fatto in tre anni di guerra. Alcune sue frasi, nella loro scarna essenzialità, sono diventate senso comune: «Io voglio che lui onori mio figlio riportando le nostre truppe a casa immediatamente» (in speculare contrapposizione all?affermazione di Bush di voler onorare i caduti americani portando a termine «il lavoro» in Iraq); «Non voglio che lui usi il nome di mio figlio o il mio nome per giustificare altri assassinii». L?elementare verità che questa guerra è nata da intollerabili menzogne e non trova giustificazione in nessun possibile argomento, pronunciata da qui, da questo luogo e da questa donna che testimonia con la propria irreparabile perdita la propria sincerità, acquista uno spessore diverso. Rivela qui, davvero, quanto il re sia nudo, incapace di guardare sé e gli altri (questo ?re? che quando la madre gli chiese di parlare del proprio figlio morto, girò lo sguardo dall?altra parte). Alla metà di agosto sono già 3 milioni 720mila i documenti in Internet reperiti da Google alla voce ?Cindy Sheehan? mentre Yahoo ne registra 12 milioni 200mila, e la valanga si è appena messa in movimento. Ci dicono quanto un?azione assolutamente, emblematicamente nonviolenta, riesca a contrastare, limitare, e alla fine sconfiggere – perché alla fine l?incultura della guerra perderà – anche il più bellicoso dei poteri.


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