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La guerra è cosa loro la pace è cosa nostra

A stretto giro di fax, il Presidente della Repubblica Ciampi, ringrazia il Governo per la sua azione sulla crisi in Kosovo.

di Riccardo Bonacina

M entre scriviamo questo editoriale il presidente del Consiglio Massimo D?Alema parla al Paese come se la crisi nei Balcani e la guerra fossero ormai definitivamente dietro le spalle: «Siamo arrivati ormai ad un passo dalla pace», dice, «dalla pace che noi volevamo. Il nostro Paese può sentirsi orgoglioso per come è stata affrontata questa crisi». A stretto giro di fax, il Presidente della Repubblica Ciampi, ringrazia il Governo per la sua azione sulla crisi in Kosovo. Rimandando la discussione sui contenuti, e sottolineando che ovviamente speriamo che D?Alema e Ciampi abbiano ragione, ci stupisce questo affrettato brindisi, questa frettolosa archiviazione. Viene spontaneo chiedersi perché, a che pro? Viene spontaneo chiedersi se davvero fosse l?intrattenibile emozione per il raggiunto accordo al vertice del G8 o piuttosto qualche calcolo elettorale o di politica interna a consigliare Massimo D?Alema. Le notizie che si susseguono in queste ore sono infatti contradditorie, l?accordo tra gli otto è trovato ma il mediatore Usa, Talbott volerà a Mosca per meglio definire la spinosissima questione del comando della futura forza di pace. E il premier filandese Antisaari fa sapere da Pechino che la Cina non dovrebbe opporsi ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza, però… Infatti l?Onu che aveva convocato la riunione del Consiglio per questa sera (martedì 8 giugno), rinvia tutto a domani. Insomma l?accordo c?è anche se va ancora perfezionato prima di diventare una Risoluzione delle Nazioni Unite, e i dettagli, soprattutto quelli tecnico-militari, sono ancora da definire. In queste ore mi sono riletto la dichiarazione di guerra fatta dal segretario generale della Nato, Javier Solana, lo scorso 24 marzo. In essa si diceva che le operazioni militari venivano scatenate per perseguire tre obiettivi: 1) l?accettazione dell?accordo di Rambouillet; 2) rispetto totale dei limiti imposti alle forze armate e alla polizia serba secondo l?accordo del 25 ottobre 1998; 3) arresto della pulizia etnica e della fuga delle popolazioni kosovare. Dopo 76 tragici giorni anche D?Alema, dopo i brindisi, dovrà almeno spiegare perché questi tre obiettivi non sono stati raggiunti, considerato che l?accordo di Rambouillet subirà modifiche sostanziali e che la fuga dei kosovari è in questi mesi almeno triplicato. Sperando che il 14 giugno almeno l?armistizio sia finalmente una realtà invitiamo tutti i nostri lettori e coloro che in questi due mesi si sono mobilitati sia negli interventi umanitari che nella costruzione di un vero cammino di pace al raduno nazionale dei sostenitori della campagna ?Io vado a Pristina e a Belgrado? che avrà luogo a Bari. Anche per rispondere a coloro che nonostante l?esperienza di queste settimane hanno ancora la tentazione di delegare il cammino della pace a ?politici, diplomatici e militari?, apriremo il raduno con le parole di don Primo Mazzolari: «Ci impegniamo oggi a portare un destino eterno nel tempo, a sentirci responsabili di tutto e di tutti. Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo» .


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