Mondo

La guerra di Belgrado

Il regista serbo descrive la sua città in preda della violenza e dei soprusi. Come oggi delle bombe.E lancia un messaggio all'Europa...

di Antonio Autieri

Quando in settembre Bure Baruta, ?La polveriera?, venne presentato fuori concorso all?ultimo festival di Venezia fu subito ?adottato? dalla critica e dal pubblico: l?impressione fu di un film genialmente grottesco e angosciosamente illuminante della tensione continua che respirava la gente di Belgrado. L?aggettivo più usato fu ?tragicomico?.
A meno di nove mesi, ogni reazione di fronte al film del serbo Goran Paskaljevic è per forza di cose modificata dalla guerra. «A Venezia il pubblico rideva per le scene ironiche, e anche voi giornalisti», ha detto il regista in un incontro con la stampa, «ora non ride nessuno». La polveriera adesso è visto come la premonizione di un?esplosione imminente, e infatti il film si conclude con una violenta deflagrazione che però doveva solo essere simbolica. Oggi quell? esplosione è diventata reale, il Paese è in pezzi in tutti i sensi.
L?idea di questo film, tratto da una piéce teatrale, nasce dal bisogno di mostrare la sofferenza di un popolo: «Negli ultimi anni sono stati fatti diversi film sul conflitto che ha insanguinato l?ex Jugoslavia, quasi tutti esclusivamente imperniati sulla Bosnia. Come jugoslavo di origine serba, sentivo il bisogno di mostrare, attraverso il destino di gente comune, lo stato d?animo del mio popolo, prostrato dagli avvenimenti di questi anni e da un lungo embargo»
Ma perché Belgrado è, o era, una ?polveriera?? Il film segue durante un?unica notte (dalle notizie che diffondono le radio si risale alla data precisa: il 14 aprile ?98) una serie di personaggi per la maggior parte violenti e irrispettosi, con un?escalation che va dall?insulto fino al sangue. Viene da pensare a cosa può aver fatto proliferare la degradazione e la disumanità in questo popolo che trova nella violenza e nella sopraffazione l?unico modo di ribellarsi alle condizioni di vita. Vita che a Belgrado sembra valere davvero poco: nel film si rischia di morire o si muore per i motivi più futili: un tamponamento, un attacco improvviso di rabbia, una discussione tra amici in cui spunta un?antica acredine. Illuminante, in questo senso, uno dei primi dialoghi tra un tassista e il suo passeggero: all?uomo che lo invita a smettere di fumare, perché ?il fumo uccide?, il conducente del taxi risponde: «Qui tutto uccide, a Parigi o a New York non fumerei». Davvero agghiaccianti molte sequenze del film, con scatti di violenza rabbiosa o vendette consumate in maniera fredda, come quella di un uomo che restituisce le sofferenze patite massacrando il suo aguzzino con martello e piede di porco, fratturandogli ventisette ossa.
«I miei personaggi, profondamente umani ma anche tragici, credono di avere in pugno la loro vita», spiega il regista, «in realtà sono trascinati in una spirale di follia balcanica». A chi chiede a Paskaljevic se il film non corra il rischio di fornire un?immagine pessima dei suoi connazionali, lui risponde che «non siamo più cattivi degli italiani, popolo di cui siamo sempre stati amici, il problema sono le circostanze storiche in cui viviamo. La violenza non è genetica e non si può confondere il popolo serbo con il regime che lo ha rovinato. Dopo sette anni di embargo le cose sono peggiorate e il regime non si è affatto indebolito». Con la guerra, dal dramma si è passati alla tragedia: «È una guerra che mi fa paura e un terribile errore di cui si pagheremo le conseguenze nei decenni a venire. Niente sarà come prima: a parte il fatto che la guerra ha unito tutti, anche chi detesta Milosevic». Al regista, l?informazione occidentale di queste settimane non piace: «Sono disgustato dalla Cnn. Non è solo la tv jugoslava a fare propaganda: la guerra è stata giustificata per salvare i profughi del Kosovo, ma perché non si parla mai dei serbi cacciati dalla Croazia?».

Paskaljevic, genio senza patria

Paskaljevic è tra i registi più noti del cinema iugoslavo, un tempo considerato tra i più interessanti e dotato di un talento messo in crisi dalle vicende di questo decennio. 52 anni, da cinque vive a Parigi con la moglie francese. I suoi film, 11 in tutto (spesso presentati e premiati ai festival), sono ironici atti d?accusa contro la società e sovente gli hanno creato grattacapi con il suo governo. A chi gli rimprovera posizioni sulla guerra e l?intervento Nato quasi in linea con Milosevic, bisogna ricordare che Paskaljevic era e rimane un dissidente (e infatti il suo film non è piaciuto in Serbia, attaccato in ogni modo). Anche per questo se ne andò dal suo Paese, adottando quella figura di genio senza patria che lo accomuna al celebre connazionale Emir Kusturica, l?autore più conosciuto all?estero che in ?Underground? ha raccontato la fine del ?grande paese? jugoslavo attirandosi le accuse di essere filoserbo, sebbene sempre consideratosi un apolide. Si dice che fra i due registi non corra buon sangue: a Venezia ?La polveriera? andò fuori concorso nonostante le qualità del film, che per molti avrebbe anche potuto vincere il festival. E qualcuno vide nell?esclusione l?intervento di Kusturica, che temeva un?ombra sul suo ?Gatto nero Gatto bianco?, poi vincitore del Leone d?argento.

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