Famiglia

La guerra delle tre Rose

Attrice, sceneggiatrice, handicappata, interpreta gli amori di una donna che come lei comunica solo col computer. E sfida i pregiudizi sui disabili.

di Antonio Autieri

Un film per Heather Rose, con Heather Rose, di Heather Rose. Così era stato presentato al festival di Cannes 1998 Balla la mia canzone. Chi è Heather Rose? Una sceneggiatrice, un’attrice, un’artista? Innanzi tutto una donna di 32 anni dal carattere straordinario. Affetta fin dalla nascita da una gravissima forma spastica a causa di una paralisi cerebrale, Heather vive su una sedia a rotelle e comunica con il mondo esclusivamente attraverso un sintetizzatore vocale e un computer. Ha continuo bisogno di assistenza per qualsiasi azione: lavarsi, mangiare, alzarsi dal letto, andare a dormire… L’avvicinamento a un mondo così distante come quello del cinema avvenne grazie all’incontro con un regista fuori dalle regole, l’australiano Rolf De Heer, che qualche anno fa le offrì una piccola parte nel suo film Bad Boy Bubby (la storia di un ritardato oppresso morbosamente dalla madre, che poi lui uccideva). Ovviamente, in un ruolo di disabile. «Io ero chiusa nel mio mondo, ma l’esperienza di assistere alla realizzazione di un film», racconta Heather Rose, che rilascia dichiarazioni via posta elettronica, «mi ha completamente affascinata. Quando Fred (lo sceneggiatore Frederick Stahl, ndr.), che aveva anche lui lavorato a Bad Boy Bubby, disse che voleva scrivere un film, mi resi conto che era un’occasione da non perdere. Così iniziammo a scrivere una sceneggiatura». Heather e l’amico sceneggiatore decisero subito di realizzare un film su una donna come Heather ma che non fosse Heather. Insomma, non un film autobiografico, che pur con buone intenzioni raccontasse pietisticamente le sofferenze di una disabile, per illustrare sociologicamente quel tipo particolare di condizione o magari al solo scopo di far commuovere il pubblico. Sarebbe stato, ammettiamolo, piuttosto facile. Il loro obiettivo era invece raccontare una vera storia e non fare “l’ennesimo film sull’invalidità”, come lei stessa afferma. Così, per esempio, fu creato il personaggio di Madeleine, la perfida infermiera che “cura” la protagonista Julia e che in realtà la maltratta, la provoca volgarmente, le porta via l’unico uomo che la tratta con gentilezza (ma ci sarà una sorprendente rivincita): «Madeleine è un personaggio inventato, ma rappresenta il peggio di tutti i peggiori assistenti per disabili, in una sola persona», continua Heather Rose. A un certo punto, quando la sceneggiatura iniziava a prendere corpo, venne coinvolto l’amico regista Rolf De Heer: «Una sera Fred e io gli parlammo del copione, ma Rolf non volle nemmeno leggere quello che avevamo scritto fino ad allora, per non interferire con le nostre idee». Solo in un secondo momento De Heer convocò Stahl e gli offrì collaborazione per sviluppare il copione. «Quella fu una grande iniezione di fiducia», riprende Heather, «perché significava che qualcuno credeva veramente in me, nelle mie capacità di fare qualcosa che valesse la pena, che sarebbe stata utile ad altri». Si poneva però il problema centrale: la scelta più naturale, una volta scritta la storia, era affidare la parte della disabile Julia a una professionista. E si sa che parti del genere sono da sempre un’attrattiva fenomenale su grandi attori e star consumate, una di quelle belle parti che spesso conducono all’Oscar o nei suoi dintorni (come dimenticare, per citare solo due esempi, Dustin Hoffman in Rain man e Robert De Niro in Risvegli?). Invece, con grande coraggio, il regista e i suoi coproduttori (gli italiani Domenico Procacci e Giuseppe Pedersoli, entrambi già partner di De Heer in precedenti opere) non ebbero dubbi: Julia non poteva essere che Heather. A costo di sfidare il gusto del pubblico, raramente così provocato sul piano di una sgradevolezza delle immagini che – parola di un noto critico italiano che da Cannes confessò di aver avuto la tentazione di abbandonare la sala – “fa stare malissimo”. La minorazione di una donna portatrice di handicap non viene addolcita, ma viene mostrata senza infingimenti proprio per costringere alle corde lo spettatore che, in genere, quando incrocia una persona sofferente come Julia-Heather, tende a distogliere lo sguardo e a girare la testa. «Avermi affidato il ruolo di protagonista ha significato tantissimo per me: è stata la prima volta che qualcuno credeva in me a tal punto. Ma all’inizio delle riprese ero nervosissima. Poi, con il passare del tempo, mi sono sentita più sicura di me e delle mie capacità di recitare. Tutti, la troupe, il cast e il regista, mi hanno aiutato moltissimo, facendomi crescere dal punto di vista personale e professionale». Ma non meno provocatorio è il fatto che il suo personaggio è, per il resto, una donna come tutte le altre: si innamora, ha pulsioni sessuali, combatte per l’uomo oggetto del suo desiderio, soffre quando se lo vede portar via e mette in atto strategie di seduzione per riprenderselo… Un vero triangolo amoroso, come regista e autori hanno definito il film: non a caso, confessa Heather Rose, «i miei film preferiti sono le commedie romantiche». Mostrare un disabile come persona, con gli stessi desideri e bisogni, con le stesse reazioni (feroci arrabbiature ed eccessi alcolici compresi), è stata una sfida che valeva la pena di affrontare: «Il mio modo di vedere la vita è cambiato», dice Heather, «e non permetto più alla gente di dirmi cosa devo fare o dire. Spero che anche gli altri inizino a capirci di più e a considerarci persone come loro».


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