Non profit
La guerra dell’acqua
Si celebra la giornata internazionale. E il dilemma è sempre quello: pubblica o privata? Ecco com'è andata in alcune zone d'Italia
Mentre a Istanbul, tra mille polemiche e incontri alternativi, il forum internazionale sull’acqua sta per concludersi, anche in Italia si celebra il 22 marzo, la giornata internazionale dell’acqua. E anche nel nostro paese non mancano le polemiche sulla questione più importante discussa in questi giorni nella vecchia capitale del regno ottomano: privatizzare o lasciare pubbliche le risorse idriche locali?
Da quando l’Italia ha iniziato a permettere la privatizzazione sono passati circa 10-15 anni. Al tempo si diceva che il sistema nazionale di trasporto era così carente che lo Stato non avrebbe potuto sobbarcarsi un tale peso economico per risistemarlo. L’entrata dei privati avrebbe dovuto risollevarne le sorti. Ma un’indagine di Mediobanca ha affermato che negli ultimi dieci anni gli investimenti sono passati da 2 miliardi di euro l’anno a 600 milioni di euro.
La guerra di Aprilia
Alcuni casi hanno fatto il giro della penisola. Il più eclatante, è stato quello del di Aprilia, nel Lazio. Il 1° luglio 2004 il controllo dell’acquedotto di 39 comuni della provincia di Latina è passata sotto la proprietà di Acqualatina spa, partecipata al 51% dagli enti locali e per il 49% da Veolia, azienda parigina. Nel maggio 2005 l’azienda decide i primi aumenti nelle tariffe: le cifre registrano un aumento che varia tra il 50% e il 300%. 6.500 famiglie si organizzano e pagano le bollette alla vecchia società comunale.
A questo punto Acqualatina prima taglia l’acqua ai nuclei familiari morosi, poi prepara un piano di aumenti del 5% annuo. Inoltre si rivolge a una banca tedesca per un prestito da 35 milioni di euro. Ma la crisi finanziaria si fa sentire e la Depfa Bank, salvata dal governo tedesco con 50 miliardi di euro, afferma di non poter più dare altri crediti se i comuni non firmeranno un accordo che vincola ogni decisione sulle bollette e sul contratto di gestione al preventivo consenso scritto della Depfa. In parole povere in questo momento l’acqua di Acilia è sotto il controllo di una banca tedesca, e soprattutto lo sono le tariffe.
Retromarce
C’è poi chi ha pensato anche di tornare sui propri passi. È il caso di 27 consigli comunali della provincia di Agrigento, che hanno votato a favore della rescissione del contratto con la Girgenti Acque. L’azienda doveva risolvere i problemi all’acquedotto, ma ancora oggi molte zone non sono raggiunte a causa delle perdite e dei difetti della rete. Ma il consiglio comunale di Agrigento, il cui comune è il maggiore azionista, non ha votato la stessa mozione. La Girgenti Acque può stare tranquilla ancora per un po’.
Ma ci sono anche situazioni che si sono risolte in maniera diversa: è il caso della Lombardia, dove 140 comuni si sono schierati contro la legge regionale di mettere a gara solo l’erogazione, così che gli oneri del serivizio sarebbero rimasti in mano al pubblico, mentre i privati avrebbero riscosso le bollette. La Regione ha fatto un passo indietro e per i prossimi 7 anni gli enti locali potranno decidere come gestire il servizio, anche con società a totale capitale pubblico.
«In questi anni la privatizzazione non ha risolto i problemi dell’acqua, né per la conservazione né per il miglioramento del servizio – afferma Paolo Cerasa, segretario della Campagna per la legge popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, per cui sono state raccolte 400.000 firme in sei mesi – l’indagine di Mediobanca rivela che il servizio non può che essere peggiorato, sia per i clienti che per i lavoratori stessi. Nonostante questo il governo Berlusconi ha varato la legge 113 nel 2008 che obbliga gli enti locali a dare il servizio ai privati. Eppure l’Unione Europea non lo prevede, tant’è che il comune di Parigi ha approvato una delibera per la ripubblicizzazione del servizio idrico».
«Il segnale che esce da Istanbul non è positivo – sostiene Emilio Molinari, presidente del Comitato per il contratto mondiale dell’acqua – nei documenti si afferma che l’acqua è un bene economico e non più un diritto umano. Questo smodato bisogno di utilizzarla per fini energitici porterà alla nascita di dighe, rovinerà i territori e la vita di centinaia di contadini. Vedo che a livello internazionale gli stati si stanno dimostrando deboli di fronte alle multinazionali, ma gli enti locali stanno facendo sistema, come in Italia. Per noi rimane solo un lato negativo: siamo gli unici al mondo ad avere una legge che obbliga a privatizzare tutti i servizi pubblici».
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