Economia

La guerra degli scaffali

Ripicche al supermarket /Su 32 quotidiani italiani Esselunga ha acquistato blocchi di mezze pagine per dire a chiare lettere che il matrimonio con le Coop non s’ha da fare

di Francesco Maggio

Una storia di successo sbandierata ai quattro venti. Un inevitabile, prevedibile cortocircuito tra due declinazioni antitetiche di capitalismo venute a contatto. Una legittima difesa da un?aggressione in piena regola. Un modo per parlare a suocera (i clienti) affinché nuora (i dipendenti) intenda e, magari, far salire nel contempo il prezzo della transazione. Di voci e opinioni se ne sono sentite in giro tante e di tutti i tipi dopo che, a sorpresa, sabato 21 e domenica 22 ottobre, su 32 quotidiani italiani Esselunga ha acquistato blocchi di mezze pagine per dire a chiare lettere che il matrimonio con le Coop non s?ha da fare.

Ma al di là dei rumors, verosimili o fantasiosi, maliziosi o disinteressati, la scelta del gruppo di Bernardo Caprotti di uscire così clamorosamente allo scoperto ha comunque un pregio, quello di far irrompere con inusitata efficacia nell?annoso e noioso dibattito italiano sulla competitività la vera questione: il ruolo centrale assunto dai consumatori, ormai sempre più cittadini-consumatori. Lo si legge nel comunicato stesso: Esselunga mira «innanzitutto a salvaguardare l?interesse dei suoi clienti?.». Insomma, nello stanco capitalismo italiano, diviso tra propensione alla rendita e spinta all?innovazione, siamo finalmente a un passo dal salto di qualità.

D?altronde, quando si parla dell?icona mondiale del capitalismo, quello americano, con il fordismo decotto e la finanza ammaccata dagli scandali, il termine di paragone non è forse il modello Wal Mart? Wal Mart fa bene a praticare i prezzi più bassi, Wal Mart fa male a pagare salari al limite della sussistenza, comunque la si metta il colosso della grande distribuzione a stelle e strisce, con i suoi 315 miliardi di dollari di fatturato, 11 miliardi di utile netto, 1,3 milioni di dipendenti, è il paradigma dei nostri giorni del turbo capitalismo. E quando nel luglio scorso, con la coda fra le gambe, ha dovuto far retromarcia dalla Germania, cedendo i suoi ipermercati a Metro, David Weil, numero uno del gruppo in loco ha ammesso: «Abbiamo commesso molti errori. Per avere successo in un Paese straniero bisogna capire gusti e tradizioni della popolazione locale». E il fatto che nei reparti alimentari non comparissero birra e wurstel la dice lunga su certe ?asimmetrie informative?. Quello che sta accadendo in Italia fa suonare gli stessi campanelli d?allarme. Spiega Aldo Bonomi, direttore di Aaster e del mensile Communitas, che come pochi conosce le dinamiche del nostro territorio: «La questione cruciale per i territori è quella delle piattaforme. In questo senso la partita Esselunga-Coop è una questione cruciale per la partita che nel territorio si sta giocando su un?agricoltura che ha avuta una grande capacità di autoriforma». «Il caso Coldiretti», afferma Bonomi, «è emblematico perché tra tutte le rappresentanze che io conosco è quella che ha avuto più coraggio e successo nell?autoriformarsi. Ma questo processo non ha sbocchi se poi non approda sulle grandi piattaforme che fanno viaggiare il made in Italy. Le catene della grande distribuzione sono una di queste piattaforme, sono i veri big player, che non possono più giocare solo su una dimensione nazionale». Segno dei tempi, quindi, segno di una svolta ormai dietro l?angolo. Comunque vada a finire.

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