La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità.
Giorgio Vittadini è presidente della Fondazione per la sussidiarietà. Parola che torna con frequenza nell’Enciclica. E con un accento non scontato. «Il Papa lega l’idea di sussidiarietà alla persona. Non resta in un ambito astrattamente giuridico. Sussidiarietà diventa un metodo grazie al quale la persona che ha delle risorse si mette a servizio dell’altro che ne ha bisogno. Del resto l’idea di carità che Benedetto XVI propone è una risposta all’umano. Niente a che vedere con le letture riduttive e sociologiche a cui ci avevano abituato». La valorizzazione del non profit è una conseguenza? «Sì. Ma dobbiamo evitare contrapposizioni tra economia buona e economia per il profitto. L’indicazione al non profit non è l’indicazione di una nicchia buona, ma ribadisce un elemento base di qualsiasi agire economico, che è la gratuità. Senza gratuità non c’è impresa economica, e il profitto diventa fine e non strumento per creare benessere. Il riferimento al non profit rimette la gratuità dentro un agire economico che ha come fine la maggior felicità di tutti. Perché la gratuità non è solo un’idea o una buona intenzione». Cioè? «Mi è piaciuto l’indicare la presenza cristiana nella forma di comunità intermedie. È un’idea concreta, mobilitante. Al contrario ho notato con piacere che la parola partito non ricorre mai». Che idea di carità emerge dall’Enciclica? «Un’idea che la sottrae da un orizzonte sentimentale e la riporta alle virtù teologali. Mi ricorda la definizione di don Giussani: “Dono di sé commosso”. Definizione molto economica, perché riguarda ogni dimensione dell’umano. Anche il fare impresa».
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