Volontariato

La grande fuga dei volontari: -15,7% rispetto al 2015

L'Istat ha presentato i primi dati del nuovo Censimento del non profit. Al 31 dicembre 2021 le istituzioni non profit impiegano complessivamente 870.183 dipendenti e 4.661.270 volontari. I dipendenti sono cresciuti del 10% rispetto al 2015 mentre i volontari sono in calo del 15,7% rispetto al 2015. Il numero delle organizzazioni invece è aumentato dell’8,1% dal 2015.

di Sara De Carli

Al 31 dicembre 2021 le istituzioni non profit attive in Italia impiegano complessivamente 870.183 dipendenti e 4.661.270 volontari. I dipendenti sono cresciuti del 10% rispetto al 2015 mentre i volontari sono in calo del 15,7% rispetto al dato del 2015. Il numero delle organizzazioni invece è aumentato dell’8,1% dal 2015. Sono questi i primi dati salienti del Censimento permanente delle istituzioni non profit realizzato dall’Istat fra marzo e novembre 2022 e resi noti oggi. Verranno rilasciati invece nel corso del 2023 i dati definitivi del Censimento in base al Registro statistico delle istituzioni non profit (aggiornato al 31/12/2021), come pure le sezioni più specifiche relative al ruolo del non profit come volano di innovazione (indagato per la prima volta), le attività svolte dalle INP e i loro destinatari, le dimensioni economiche, le reti di relazioni, la comunicazione e la raccolta fondi, l’innovazione sociale, la responsabilità sociale, la digitalizzazione e le conseguenze provocate dalla recente emergenza sanitaria da Covid-19.

La rilevazione campionaria (la seconda realizzata sul non profit) ha coinvolto 110mila istituzioni non profit, quindi circa un terzo dell’intero universo, con un tasso di risposta del 61%. Qui la diretta dell'Istat.

Le dimensioni strutturali

Le 363.499 istituzioni non profit presenti in Italia hanno una distribuzione territoriale piuttosto sbilanciata: oltre il 50% è attivo al Nord, il 22,2% al Centro, il 18,2% al Sud e il 9,4% nelle Isole. Se però guardiamo ai dipendenti, la concentrazione territoriale è ancora più evidente: per il 57,2% sono impiegati nelle regioni del Nord contro il 20,0% del Mezzogiorno. La forma giuridica che raccoglie la quota maggiore di istituzioni (85,2%) resta l’associazione, seguono le INP con altra forma giuridica (8,4%), le cooperative sociali (4,1%) e le fondazioni (2,3%).

Quanto al settore di attività, quello prevalente è lo sport, che raccoglie il 32,9% delle istituzioni non profit d’Italia, una su tre. Seguono i settori delle attività culturali e artistiche (15,9%), delle attività ricreative e di socializzazione (14,3%), dell’assistenza sociale e protezione civile (9,9%): complessivamente quasi tre istituzioni non profit su quattro (il 73%) sono attive in quattro aree. Se guardiamo alla distribuzione del personale dipendente, invece, le cose si ribaltano. Essa si concentra in pochi settori: assistenza sociale e protezione civile (48,4%), istruzione e ricerca (15,0%), sanità (11,9%) e sviluppo economico e coesione sociale (11,4%). Insieme, i dipendenti di questi quattro settori sono l’86,7% del totale, quasi nove addetti su dieci.

I volontari

Il 72,1% delle istituzioni non profit attive nel 2021 si avvale dell’attività gratuita di 4,661 milioni di volontari: per il 57,5% sono uomini e per il 42,5% sono donne. Il dato segna un -15,7% rispetto agli ultimi dati disponibili riferiti al 2015, con un calo di volontari più accentuato tra gli uomini che tra le donne. Le istituzioni che operano grazie al contributo dei volontari e i volontari stessi si concentrano nei settori delle attività culturali e artistiche, sportive, ricreative e di socializzazione, che insieme aggregano il 65,2% delle istituzioni con volontari e il 54,5% dei volontari. Le aree di intervento specifiche che, più di altre, “attirano” il contributo dei volontari sono l’ambiente (conta su volontari l’86% delle istituzioni attive nel settore contro una media nazionale del 72,1%), le attività ricreative e di socializzazione (85,6%), la filantropia e promozione del volontariato (84,6%), la cooperazione e solidarietà internazionale (83,1%) e l’assistenza sociale e protezione civile (78,3%).

L’orientamento a destinatari con disagio

Se l’86,5% delle istituzioni non profit attive nel 2021 è impegnato in attività rivolte alla collettività in generale e non a singoli individui, il 13,5% orienta la propria attività ed eroga servizi a categorie di persone con specifici disagi. Nel 2015 queste ultime rappresentavano il 21,7% delle INP, un cambiamento probabilmente dovuto anche alle conseguenze dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Fra chi opera per segmenti di popolazione con un bisogno specifico, oltre la metà si dedica a persone con disabilità fisiche e/o intellettive. Considerando le diverse categorie sociali con situazioni di fragilità, vulnerabilità o disagio, infatti, il 55,8% delle INP si occupa di disabilità fisica e/o intellettiva, il 32,9% di persone in difficoltà economica e/o lavorativa, il 31,2% di persone con disagio psico-sociale, il 25,3% di persone vulnerabili, ad esempio in condizione di solitudine o isolamento.

In questo ambito è interessante rilevare che se il 17,8% delle INP italiane rivolge un’attenzione particolare ai minori di 18 anni fra quelle che si rivolgono a tutta la popolazione, questa percentuale sale al 26% tra quelle che orientano le proprie attività a categorie con specifico disagio. Rispetto alla popolazione anziana, invece, essa è un target di riferimento per il 5,5% delle istituzioni non profit orientate alla collettività e del 13,1% delle INP orientate al disagio.

Gli stakeholder

Nel 2021 nove INP su 10 (89,3%) hanno strutturato “relazioni significative” con i diversi soggetti che possono essere sia persone fisiche sia soggetti istituzionali, quali Istituzioni (pubbliche o private), gruppi o imprese. Gli stakeholder più coinvolti sono i soci (lo fanno il 70% delle INP), i volontari (47,4%) e i destinatari delle attività (46,5%); più bassa la quota delle istituzioni che indicano di avere rapporti con i lavoratori retribuiti (14,2%) e con i donatori (10,2%). Rispetto agli stakeholder istituzionali, il 36,1% delle INP nel 2021 ha intessuto relazioni con le Regioni e gli Enti pubblici locali, mentre con altri soggetti come Scuole, Università ed Enti di ricerca hanno dialogato il 15,8% delle INP. Seguono Ministeri, Enti, Agenzie di Stato (10,9%) e Aziende sanitarie locali, ospedaliere o di servizi pubblici alla persona (9,3%). In ambito privato, le INP hanno costruito reti con altri soggetti del settore (19,9%), Enti religiosi (12,2%) e con imprese private (8,1%). Più dei due terzi delle istituzioni interessate (77,2%) hanno consultato i propri stakeholder per la definizione delle proprie attività e circa metà delle istituzioni ha inoltre progettato (53,7%) e realizzato progetti (47,9%) con i diversi soggetti coinvolti. Anche il coinvolgimento dei destinatari nella definizione delle attività (52,3%) conferma la crescente importanza della partecipazione dei beneficiari al processo di offerta dei servizi ad essi dedicati dalle INP. Infine, emerge il ruolo dei volontari convolti da metà delle INP (49,7%) oltre che nella realizzazione delle attività, anche nella progettazione delle stesse. Emerge inoltre il ruolo delle imprese private nel finanziamento delle attività con un valore (31,7%) non molto distante da quello dei Ministeri (34,6%) o delle Regioni ed Enti locali (33,7%).

La tecnologia

Nel 2021, il 79,5% delle INP italiane ha utilizzato almeno una tecnologia digitale: il dato sembra buono, peccato che a guardarci dentro la tecnologia sia sostanzialmente la connessione internet. Solo tre INP su 10 (35,5%) hanno utilizzato le piattaforme digitali, mentre il 28,0% si è avvalso di applicazioni mobile, il 9,8% ha acquistato servizi di cloud computing e il 2,1% delle INP digitalizzate ha adottato almeno un dispositivo relativo all’Internet delle Cose (IoT), alla robotica, alla stampa 3D e alla blockchain. Una quota ridotta di INP, pari allo 0,9%, ha utilizzato tecnologie e/o strumenti per analisi di big data. Una su tre tra le INP non digitalizzate (pari tuttavia al 20,5% del totale) addirittura afferma che non ritiene necessaria l’adozione di tecnologie digitali per lo svolgimento delle proprie attività.

Negli screenshot, Alessandro Faramondi e Sabrina Stoppiello di Istat che hanno presentato le prime evidenze del Censimento del non profit.

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