Non profit

La grande fuga dalla Fondazione Armstrong

Alla vigilia della messa in onda dell' intervista sullo scandalo doping che Armstrong ha rilasciato a Oprah Winfrey, i più importanti sostenitori della fondazione pensano di andarsene. Ma lo faranno solo quando il polverone mediatico si sarà abbassato

di Ottavia Spaggiari

 

Mancano solo poche ore alla trasmissione dell’intervista che il ciclista Lance Armstrong ha rilasciato alla regina dei salotti televisivi americani Oprah Winfrey e gli occhi sono tutti puntati su di lui. Da quello che si preannuncia come un vero confessionale mediatico (l’intervista verrà trasmessa in due puntate, giovedì e venerdì, sull’Oprah Winfrey Network), non dipende infatti solo il futuro dell’ex sportivo, ormai radiato da ogni competizione per lo scandalo doping, ma la posta in gioco risulta essere molto più alta. Negli ultimi quindici anni infatti, Lance Armstrong è diventato role model, brand vivente e anche fondatore di una delle più importanti fondazioni impegnate nella lotta al cancro degli Stati Uniti.

Era il 1997 quando, dopo la guarigione da una grave forma di tumore ai testicoli, il suo agente, Bill Stapleton, aveva predetto che l’allora venticinquenne Armstrong non era più solo un ciclista: “La sua battaglia contro la malattia, rende Lance più interessante. La nostra sfida adesso è sfruttare al meglio questo potenziale.” Una sfida vinta. Nello stesso anno Stapleton aiutò Armstrong a fondare la Lance Armstrong Foundation, rinominata Livestrong nel 2012 e definita dal New York Times, il “braccio non-profit dell’impero multimilionario che i due uomini hanno costruito negli ultimi 15 anni.”

E’ proprio il New York Times che, alla vigilia della messa in onda dell'incontro televisivo con la Winfrey, analizza la posizione delicatissima in cui si trova la fondazione di Armstrong, sottolineando come, in questi anni, l’attività di Armstrong e quella della sua fondazione si siano intrecciati fino a diventare interdipendenti. “Mentre la celebrità di Armstrong ha alimentato la crescita della fondazione, la fondazione ha reso il suo nome molto più commerciabile”, scrive la giornalista americana Stephanie Saul. Basti pensare che nel 2004, quando Armstrong vinse il suo sesto giro, le vendite a scopo benefico dei braccialetti di gomma Livestrong, andarono alle stelle, portando nelle casse della fondazione 26 milioni di dollari.

Oggi, nell’occhio del ciclone, alla vigilia di quello che molti hanno letto come il tentativo estremo di recuperare la credibilità perduta, il destino di Armstrong e quello della sua fondazione sono di nuovo interconnessi. Fino ad oggi Livestrong, che ha sede in una delle zone più prestigiose di Austin, in Texas, ha raccolto oltre 500 milioni di dollari e conta 100 dipendenti. Le dimissioni da presidente che Armstrong ha presentato lo scorso ottobre, non sono bastate a contenere i danni per la fondazione che, negli ultimi mesi, ha perso il sostegno di alcuni finanziatori corporate molto importanti, tra cui l’azienda di biciclette Trek che ha donato, negli ultimi tre anni, oltre 1 milione di dollari ed è incerto anche il finanziamento della catena di negozi di elettronica RadioShack.

Rimane per ora fedele alla fondazione Nike, principale sostenitore corporate di Livestrong, che aveva reciso il contratto di con lo stesso Armstrong lo scorso ottobre, ma che ha confermato la donazione di 7,5 milioni di dollari per il 2013 e il 2014. Il rischio per il futuro della fondazione però rimane alto, almeno secondo Daniel Borochoff, presidente dell’organizzazione di vigilanza sulle non profit, Charity Watch: “Gli sponsor non si tirano indietro quando i riflettori sono ancora accesi su una questione controversa. Non vogliono fare la figura dei cattivi che tolgono risorse ad una causa valida come quella della lotta al cancro. “ Ha spiegato Borochoff ai microfoni del New York Times. “Quello che gli sponsor fanno di solito, in queste circostanze, è aspettare che i riflettori si spengano. Solo allora smettono di offrire il loro supporto”.

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