Volontariato

La Gozzini? No, il vero scandalo è il pentitismo

Ci risiamo: tutti in carcere e buttiamo le chiavi. Succede ogni trimestre, ma in maniera sempre più greve e grave. È successo anche in questi giorni.

di Giuliano PIsapia

Ci risiamo: tutti in carcere e buttiamo le chiavi. Succede ogni trimestre, ma in maniera sempre più greve e grave. È successo anche in questi giorni, dopo il caso di Aurelio Concardi che ha seminato il terrore a Milano sparando contro la polizia. Nel coro di banalità e di scurrilità è da segnalare la schizofrenia e l’ignoranza del ministro dell’Interno e il solito tentativo di strumentalizzazione da parte di alcuni politici.
Bianco, a proposito di ignoranza, ha dichiarato che se fosse stato approvato il “pacchetto sicurezza”, in discussione in questi giorni in Parlamento, episodi come quello di Milano non sarebbero mai successi. Peccato – ed è strano che un ministro dell’Interno non sappia e non conosca i disegni di legge del Governo – che nel testo del “pacchetto sicurezza” si tratti di questioni completamente diverse, cioè dei cosiddetti reati da strada.
Ma, al di là delle sciocchezze, il punto più grave è che come al solito viene, a sproposito, attaccata la legge Gozzini come legge permissiva. Varrà allora la pena ricordare alcune cose, così, per ristabilire la verità delle cose. Il senso della Gozzini: approvata dal Parlamento nel ’75 e modificata nell’86 sulla base di una precisa indicazione della Corte Costituzionale, la quale aveva dichiarato che, sulla base della concezione della pena prevista dalla nostra Costituzione, il legislatore era obbligato a prevedere norme che, a fronte di una lunga condanna, rendessero possibile rivedere col passare del tempo se la condanna era ancora utile e necessaria oppure no, o se addirittura non contrastava col principio di rieducazione della pena. Gli effetti della legge Gozzini: i dati di violazione delle norme contenute nella Gozzini sono sotto l’1%, come il vostro giornale ha ricordato più volte, una percentuale addirittura minore di una ragionevole soglia fisiologica. Vorrei anche ricordare che a fronte di questo 1% di violazioni, dal 1975 ad oggi oltre mezzo milione (una media di 20 mila persone l’anno) di detenuti si sono reinseriti tramite questa gradualità della pena nella società. Aggiungo che evidentemente anche rispetto a quell’1% che evade o commette nuovi reati, bisogna intervenire, ma il modo d’intervento non è l’eliminazione di una norma che ha questi enormi effetti positivi non solo e non tanto per i detenuti, che riacquistano la speranza, e le loro famiglie, ma per la collettività perché parliamo di centinaia di migliaia di persone che anziché commettere reati si reinseriscono nella società.
Un’altra cosa sfugge ai più: quelli della Gozzini non sono dei diritti ma dei benefici, il che significa che nessuno ne ha diritto automaticamente, ma è il magistrato di sorveglianza a valutare se un soggetto è meritevole o meno sulla base di una serie di considerazioni. E ad oggi, il livello di accettazione delle richieste di benefici previsti dalla Gozzini da parte della magistratura di sorveglianza è bassissimo. Sono rigettate oltre il 70% delle richieste. Un’ultima osservazione che il caso Concardi riporta all’ordine del giorno.
Si tratta di una vera norma criminogena che nessuno oggi sottolinea: è la norma sui collaboratori di giustizia che riguarda moltissimi di quei casi che giustamente allarmano l’opinione pubblica. Una norma che permette loro di accedere ai benefici della Gozzini indipendentemente dall’aver scontato un certo periodo di pena e cioè di essere sottoposti all’esame da parte degli psicologi, direttore del carcere, polizia penitenziaria, assistenti sociali. Oggi un collaboratore di giustizia condannato all’ergastolo o a pene lunghissime può avere la semilibertà, l’ammissione a lavorare all’esterno, può avere permessi premio senza quei limiti e senza quelle verifiche sul suo comportamento effettivo nel periodo carcerario che invece valgono per tutti gli altri detenuti. È successo così anche per Aurelio Concardi. Questi sono i risultati di una magistratura in balia del pentitismo, altro che della legge Gozzini.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.