A Mariano, in provincia di Como un progetto estivo prevede un piccolo scambio: un buono spesa per un giovane proporzionale alle ore di volontariato svolte. I buoni acquisto sono da spendere in alcuni negozi convenzionati del territorio per comprare le cose che maggiormente piacciono ai giovani.
Un progetto che pare ben strutturato ed è rivolto ai giovani fra i 16 e i 28 anni residenti nei Comuni della zona che fanno parte dell’azienda territoriale di servizi alla persona Tecum. Chi si impegnerà per 40 ore riceverà un buono di 50 euro, 80 euro chi parteciperà con 60 ore e 100 euro per chi ne metterà a disposizione 80.
Un incentivo senza dubbio efficace, già sperimentato in altre occasioni, che però suscita alcuni interrogativi sul metodo: è giusto utilizzare una leva economica (di natura commerciale) per invogliare i giovani a svolgere un servizio che si fonda sulla gratuità?
Chi pensa che questo tipo di incentivo sia eticamente sbagliato sottovaluta il valore che può comunque avere un’esperienza del genere per un giovane; chi ritiene che sia lecito introdurre una ricompensa materiale nel volontariato sottovaluta i valori essenziali del volontariato stesso.
Difficile dare ragione all’una o all’altra sponda -a patto che ve ne siano solo due-, vero è che il nodo del vasto tema delle ricompense, monetarie o meno, del volontariato in Italia è ancora tutt’altro che sciolto e il tema scalda gli animi. Soprattutto quelli dei più anziani addetti ai lavori che hanno fatto della gratuità a tutti i costi la bandiera del loro impegno.
Così come è vero che la discussione è scivolosa e rischia di inceppare i meccanismi della solidarietà, nonché di impantanarla lontano dai temi più rilevanti. Si pensi al caso di Mariano Comense e alle aspettative di quei ragazzi che si impegnano: conta di più l’esperienza o la ricompensa? Difficile anche in questo caso generalizzare, ma la discussione è aperta. Può essere stabilita una giusta ricompensa per il volontariato che vada oltre il valore, enorme, di un’esperienza? Voi che ne pensate?
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