Malgrado gli anni di studio, per decine di migliaia di giovani ambire a una cattedra oggi è di fatto impossibile. Un paradosso che durerà 15 anni. A meno che non si cambino
i criteri di accesso. Ma finora siamo solo agli annunciDante non guasta. Per chi si affaccia alle soglie della scuola il suo «lasciate ogni speranza, voi che entrate» è ben più che una metafora. Perché un giovane laureato che voglia fare l’insegnante, oggi non lo può fare. Dal 2008 in Italia non esiste un modo per mettere insieme i titoli necessari a diventare prof. In questi anni decine di migliaia di ragazzi sono stati nel limbo, in attesa che il ministero dell’Istruzione partorisse la nuova via per l’abilitazione, condizione preliminare all’ingresso in aula. Il nuovo nato si chiama “Tirocinio formativo attivo” – in sigla Tfa -, dovrebbe partire in autunno ed è una risposta formale ma non reale. I laureati nel limbo ci rimarranno per i prossimi quindici anni.
I posti beffa
Il ministro Gelmini, con il dm 249/2010, ha ridisegnato l’intera formazione iniziale degli insegnanti: una riforma che si attendeva da anni. La transizione è affidata a un Tirocinio formativo attivo, a numero chiuso, per chi non ha potuto abilitarsi per sovvenuta soppressione delle Siss – Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario. Tanto le nuove lauree quanto il Tfa, per non creare fila di aspiranti docenti a cui mai si potrà dare una cattedra, partono solo se e dove ce n’è bisogno. In base ai dati trasmessi agli Uffici scolastici regionali, nei prossimi tre anni i Tfa formeranno e abiliteranno circa 5.360 insegnanti per la scuola secondaria di primo grado e 2.639 per quella di secondo grado. Ma questo non significa che la Gelmini abbia alzato le saracinesche, ma solo che poco meno di 7.999 giovani (una minoranza rispetto al totale) avranno presto – si spera – l’abilitazione, ma non certo una cattedra.
Visti i numeri, il Tfa non potrà che essere interregionale o addirittura nazionale. «Suppongo che partirà tra gennaio e febbraio, ma con quanti posti solo un indovino potrebbe saperlo», commenta laconico Michele Lenoci, preside della facoltà di Scienze della Formazione all’Università Cattolica di Milano. La sua speranza, dice, «sta nelle parole di alcuni funzionari scolastici regionali, che mi hanno detto che i numeri sconfortanti delle tabelle ministeriali non sono attendibili e che c’è, almeno da noi, una forte esigenza di personale da abilitare».
Nella realtà, infatti, molti di questi ragazzi in cattedra ci sono già. Tanto nelle paritarie quanto come supplenti nelle scuole statali. «Se ci chiamano è perché il posto c’è», spiega Barbara Borriero, coordinatrice di Adida – Associazione docenti invisibili da abilitare, 17mila aderenti. I conti non tornano anche per i presidi: Roberto Pellegatta, presidente di Disal – Associazione di dirigenti di scuole statali e paritarie, autonome e libere, spiega che «abbiamo incontrato tanti giovani capaci e competenti, ma non possiamo assumerli a tempo indeterminato». E più di un dirigente, ormai, pur di non perdere il giovane e bravo prof, lo assume pure se non abilitato: eliminare dalla scuola i giovani insegnanti non è certo un bene per gli alunni.
Maestre fuori gioco
In questo groviglio, la situazione delle maestre elementari (la femminilizzazione dei docenti della scuola primaria è al 96,2%) è ancor più paradossale. La laurea in Scienze della Formazione primaria di per sé è abilitante, ma poiché dal 2007 è impossibile iscriversi alle graduatorie (le chiuse l’allora ministro Giuseppe Fioroni), nessuna nuova laureata può diventare maestra. «Siamo in 20mila in queste condizioni», denuncia Clara Calvacchi, del Coordinamento precari di Scienze della Formazione primaria de L’Aquila, che si batte per la riapertura delle graduatorie ad esaurimento. «Vogliamo fare una class action nei confronti del ministero: lo sbarramento avrebbe dovuto metterlo all’inizio, non facendo partire i corsi di laurea». Da quest’anno, per diventare maestra, c’è un nuovo corso di laurea magistrale quinquennale, con test e numero chiuso. Sarà un caso, ma nessuna università è ancora in grado di dare informazioni ai futuri studenti: tutti «in attesa di indicazioni ministeriali».
Lo spiraglio
La risposta al pasticciaccio brutto non può che essere politica. L’ex ministro Fioroni (Pd) difende l’idea delle graduatorie chiuse, che nei suoi conti dovevano esaurirsi con il 2014/15. Il problema semmai «sono le deroghe che questo governo ha concesso, ci sono almeno 50mila precari in più da sistemare». Qualche speranza, forse, c’è. Valentina Aprea, responsabile scuola del Pdl, rivela che «il ministro ha chiesto di rivedere le stime del fabbisogno» e «garantirà una disponibilità congrua di posti per il Tfa su tutte le classi». E annuncia che «una modalità selettiva di reclutamento ci sarà presto, ma non con il vecchio concorso. Piuttosto pensiamo a modalità legate ai territori e all’autonomia delle scuole».
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