Emergenza carcere
La garante di Roma: «Il Decreto Nordio? Irride la sofferenza dei detenuti»
Giovedì scorso l’ennesimo suicidio dietro le sbarre, un ragazzo di 20 anni che si è impiccato nell'istituto fiorentino di Sollicciano. Nella casa circondariale è scoppiata una protesta. Il bilancio, dall’inizio dell’anno, è di 52 persone che si sono tolte la vita. Valentina Calderone, garante delle persone private della libertà personale della Capitale: «C’è una sottovalutazione totale delle minime condizioni di vivibilità in un momento già estremamente difficile»
«Nell’ultimo anno e mezzo ho visto una precipitazione totale delle condizioni delle persone, uno scadimento della vivibilità, un enorme nervosismo. E anche un’incomprensione per quello a cui sono sottoposte». A parlare è Valentina Calderone, garante delle persone private della libertà personale di Roma capitale da marzo 2023. Giovedì scorso l’ennesimo suicidio in carcere, un ragazzo di 20 anni che si è impiccato nell’istituto fiorentino di Sollicciano. Nella casa circondariale è scoppiata una protesta dei detenuti, con lenzuola bruciate. Nello stesso giorno sono morti altri due detenuti, uno a Pavia e l’altro a Livorno, che avevano tentato di togliersi la vita i giorni precedenti.
Calderone, nelle carceri è molto alta la tensione. Quella di Sollicciano è solo l’ultima di una serie di azioni di protesta. Cosa può dirci della situazione negli istituti penitenziari?
La situazione è molto grave perché il tema del sovraffollamento purtroppo è un tema che non possiamo più definire emergenziale, ma che soprattutto con l’arrivo dell’estate si fa sentire in maniera importante all’interno degli istituti. A Regina Coeli, a Roma, il tasso di sovraffollamento è del 180%, siamo arrivati a una media nazionale intorno al 130%. Ci sono dei picchi di sovraffollamento, in alcuni istituti, in cui questo problema si sente ancora di più. L’estate è il momento non solo del caldo e della condivisione di spazi con moltissime persone, ma è anche il momento in cui ci sono molte meno attività. E, quindi, le persone sono costrette, anche per colpa della circolare “Circuito media sicurezza”, a stare tutto il giorno all’interno delle proprie stanze, che sono già sovraffollate e che hanno una serie di problemi. Tutto viene esasperato dalla stagione e dal fatto che le persone stanno in quelle condizioni.
Può spiegarci meglio la circolare “Circuito media sicurezza”?
Si tratta della “Circolare Circuito media sicurezza – Direttive per il rilancio del regime penitenziario e del trattamento penitenziario” (è la circolare n.3693/6143 del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria-Dap, del 18 luglio 2022, QUI il link, ndr). Nel circuito della media sicurezza è detenuta la parte quantitativamente più consistente della popolazione detenuta. In questa circolare, che prevede una riorganizzazione dei reparti, si dice sostanzialmente che le persone non possono più essere aperte nel corridoio, possono stare fuori dalle loro stanze solo se devono svolgere delle attività altrimenti stanno nelle celle. Inizialmente è stata fatta una sperimentazione, poi è diventata organica. Le attività nelle carceri non sono molte, quindi le persone passano moltissimo tempo chiuse nelle celle.
E i suicidi in carcere, dall’inizio dell’anno, sono arrivati a 52.
Pochi giorni fa si è ucciso quel ragazzino di 20 anni a Sollicciano, motivo per cui è nata la protesta. Sempre lo stesso giorno, sono morti il ragazzino diciannovenne che aveva provato ad uccidersi qualche giorno prima a Pavia e un signore di 52 anni che aveva tentato il suicidio nel carcere di Livorno. Servirebbero degli interventi immediatamente. Oggi è pure tardi, dovevano essere fatti ieri, ma ci accontenteremmo anche di oggi, se venissero fatti però oggi. Quello che produce questo decreto è un’irrisione nei confronti della sofferenza delle persone.
Qualche altra novità del decreto che vuole commentare?
Ora c’è la deroga piena dell’aggiunta di due telefonate al mese (che avverrà chissà tra quanti mesi), anche se i direttori delle carceri già avevano la deroga piena di far telefonare le persone più di quanto è scritto nel Regolamento penitenziario (quattro telefonate al mese, ndr). Vengono aggiunte due telefonate al mese quando abbiamo avuto una sentenza della Corte costituzionale lo scorso gennaio, auto applicativa (VITA ne ha scritto QUI, ndr), sulla possibilità di colloqui intimi e sul diritto all’affettività che ancora non è stata applicata: non c’è una persona in Italia che ha fatto un colloquio riservato.
C’è una sottovalutazione totale delle minime condizioni di vivibilità in un momento già estremamente difficile. E questo è inaccettabile
Ornella Favero, presidente Conferenza nazionale volontariato giustizia, ci ha raccontato in una recente intervista le difficoltà frapposte al lavoro delle associazioni, anche a causa di due circolari dello scorso anno che rendono tutto più difficile.
Sì, c’è una combinazione di fattori. È stata centralizzata la decisione delle attività, la maggior parte di esse deve essere autorizzata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria-Dap, quindi i tempi di approvazione dei progetti slitta di molto. Inoltre, con la carenza di Polizia penitenziaria, spesso il pomeriggio non c’è una copertura sufficiente per organizzare la sorveglianza per le attività. Quindi, ci si trova nella condizione per cui le attività ci sarebbero pure, ma poi non ci sono gli agenti che la possono garantire, quindi saltano. C’è un aggravamento di una situazione che è già grave di per sé, a cui concorrono un po’ di fattori diversi.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato che il decreto “Carcere sicuro” approvato pochi giorni fa prevede l’assunzione di 1.000 agenti di Polizia penitenziaria. Potranno essere una delle soluzioni per l’emergenza penitenziaria?
Assolutamente no. I dati ci dicono che, su 36mila agenti in servizio, ogni giorno più o meno non è in servizio un terzo: per malattie, per permessi familiari, per permessi della 104. Quindi dobbiamo calcolare che ogni giorno sono in servizio circa 24mila agenti. Questi 1.000 agenti in più (500 l’anno prossimo e 500 l’anno dopo) non sarebbero affatto sufficienti.
Oltre agli agenti, servirebbero altre figure professionali nelle carceri?
Oltre alla Polizia penitenziaria servirebbe anche altro. È stato fatto un concorso per le figure dei funzionari giuridici pedagogici, stanno entrando in servizio quest’anno. Mancano i mediatori, in carcere circa il 30% delle persone sono straniere. E c’è un grande problema che riguarda le aree sanitarie.
Una novità del decreto “Carcere sicuro” è l’istituzione di un albo di comunità, adibite alla detenzione domiciliare, che potranno accogliere alcune tipologie di detenuti: quelli con residuo di pena basso, i tossicodipendenti e quelli condannati per determinati reati. Cosa ne pensa?
Prima che venga fatto l’albo e che si istituisca passerà almeno un anno. Dovremo anche capire quanti sono i posti, quante sono le disponibilità. Al momento questo non risolve nulla riguardo alle più di 5mila persone che hanno un fine pena sotto gli otto mesi, non risolve niente rispetto alle oltre 14mila persone detenute in più rispetto ai posti disponibili (i detenuti presenti negli istituti sono 61.509, a fronte di 47.003 posti disponibili, “Analisi dati sistema penitenziario al 3 luglio 2024”, ndr). E non risolve niente riguardo alle altrettante 14mila persone che hanno un fine pena sotto i due anni, persone che dovrebbero poter uscire adesso. Non credo che queste comunità possano risolvere tutto. Il problema delle persone che scontano tutta la pena all’interno del carcere è rilevante proprio perché la maggior parte di esse non ha una possibilità abitativa a cui rivolgersi, una rete familiare. Potremo ragionare su quanto siano incisive le proposte rispetto a quanti sono i posti che verranno messi a disposizione.
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Quindi è presto per giudicare l’idea dell’albo di comunità?
Lì dentro c’è un’idea, finanziata da Cassa delle Ammende, ma non sappiamo la portata: le persone che potranno andare nelle comunità potrebbero essere 500, 1000. Se iniziassero ad essere 10mila allora potremmo pensare che tra un anno avremo risolto una parte dei problemi del sistema penitenziario. Ma ora che vedremo gli effetti del decreto passerà molto tempo, e l’emergenza è adesso.
Lei è garante delle persone private della libertà personale di Roma capitale da marzo 2023. È passato quasi un anno e mezzo da quando ha assunto questo incarico, ha visto la situazione peggiorata?
Moltissimo. Ho visto una precipitazione totale delle condizioni delle persone, uno scadimento della vivibilità, un enorme nervosismo. E anche un’incomprensione per quello a cui le persone sono sottoposte. Ogni volta che vado in carcere c’è una richiesta di spiegazioni.
È impossibile dire a queste persone che quello che sta succedendo ha un qualche senso, un qualche fondamento. È impossibile dare risposte
Cosa le chiedono?
Mi chiedono: «Ma com’è possibile che stiamo così, che dobbiamo vivere in queste condizioni? Com’è possibile che ci hanno occupato le salette socialità con i letti, quindi non possiamo neanche usare queste stanze?». A Regina Coeli hanno messo i letti nelle aule scolastiche quando è finita la scuola. Quindi nelle salette socialità e nelle aule scolastiche non c’è neanche un televisore. Queste persone vengono chiuse dentro alle stanze alle 18-18,30 del pomeriggio e vengono riaperte alle 7,30-8 del giorno dopo, senza neanche un televisore. C’è una sottovalutazione totale delle minime condizioni di vivibilità in un momento già estremamente difficile. E questo è inaccettabile. Le persone trovano inconcepibile essere trattate in quel modo, è incomprensibile per me e per le persone che sono in carcere. Poi è incomprensibile una contraddizione di fondo.
Quale?
Come può uno Stato assumersi la responsabilità della sanzione nei confronti di chi ha commesso un reato comportandosi in maniera totalmente illegale, tenendo le persone in una condizione totalmente illegale? Come si sana questa contraddizione? Come si fa a chiedere alle persone che sono detenute, che hanno sbagliato, che dovrebbero aderire al principio educativo, all’idea che quello che gli è capitato è conseguenza delle loro azioni, di avere fiducia nelle istituzioni? Che fiducia noi aiutiamo loro a ricostruire nei confronti delle istituzioni, che hanno in qualche modo tradito attraverso il loro reato?
Può farci qualche esempio delle condizioni difficili a cui si è costretti in carcere?
A Regina Coeli ci sono ancora le schermature alle finestre, sono di ferro, passa l’aria rovente. Sono stati regalati dei ventilatori, che però non possono essere installati nelle stanze perché l’impianto elettrico non reggerebbe anche i ventilatori. È impossibile dare una spiegazione ai detenuti, dire loro che quello che sta succedendo ha un qualche senso, un qualche fondamento. È impossibile dare risposte.
Quale potrebbe essere una delle soluzioni per il sovraffollamento e le condizioni difficili delle carceri?
Io mi accodo totalmente a quello che ha scritto il Papa nella sua bolla giubilare. Francesco chiede ai governi un provvedimento di clemenza, amnistia e indulto. Anche l’inserimento di nuovo personale, l’ideazione di nuovi progetti, la costruzione di percorsi di presa in carico delle persone (con l’albo delle comunità annunciato), si possono iniziare a fare, ma in una condizione in cui il sistema penitenziario sia vivibile, consenta agli operatori di polizia di lavorare e agli educatori di non avere 200 persone da seguire. Se un educatore ha 200 casi che tipo di approccio personalizzato può riuscire a fare? Non riesce a fare neanche il minimo indispensabile. Tutto quello che si può fare in prospettiva, tutta la progettualità la possiamo mettere in campo con un sistema penitenziario che sia intorno alle 50mila persone. E allora da lì si può ripartire, si può progettare, si può programmare.
In questo momento nelle carceri non c’è nient’altro che si possa fare che non abbassare il numero della popolazione detenuta. Dopo si può fare tutto il resto
Ora cosa si può fare?
In questo momento nelle carceri non c’è nient’altro che si possa fare che non abbassare il numero della popolazione detenuta. Dopo si può fare tutto il resto. In queste condizioni tutta la progettualità salta, non è pensabile farla e portarla avanti, non è pensabile costruire e organizzare niente. Questa è l’unica realtà dei fatti.
Per quanto riguarda le opportunità di reinserimento lavorativo?
La progettazione c’è e, come spesso succede, è a macchia di leopardo. Ci sono istituti in cui ci sono molte attività, sono avanzate dal punto di vista del trattamento, c’è anche un grande scambio con il territorio. A Roma, tra le due circondariali Rebibbia Nuovo complesso e Regina Coeli c’è una differenza abissale. Ci sono degli istituti che, anche grazie a direzioni che hanno intessuto negli anni ottimi rapporti con il tessuto sociale e anche grazie all’esistenza di spazi che si possono utilizzare, hanno moltissime attività, ma poi nel pomeriggio ci sono comunque difficoltà a fare qualunque attività per la scarsità di agenti. Ma in tanti istituti ci sono problemi strutturali che hanno un tasso di sofferenza gigantesco per mancanza di attività da fare.
A Roma com’è la situazione delle carceri?
A Rebibbia ci sono gli spazi per fare le attività, una serie di condizioni che consentono di portare le attività all’interno. A Regina Coeli c’è il deserto.
Il commento di Acli Toscana su Firenze e Livorno
«La situazione di Sollicciano e del carcere di Livorno sono inaccettabili. Una regione dalle tradizioni solidali come la Toscana non può permettersi di avere penitenziari in queste condizioni: servono interventi rapidi per metterli in sicurezza prima possibile». A dirlo è Giacomo Martelli, presidente di Acli Toscana, dopo i suicidi di due detenuti a Sollicciano e Livorno e commentando la situazione delle carceri nel nostro Paese.
Foto di apertura di Matthew Ansley su Unsplash. Foto dell’intervistata
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