Diplomazia del bastone
La gang di San Pietroburgo, l’azienda “Ucraina”, la fiduciaria Ue e il banchiere Usa
Evgeny Erlikh, giornalista di guerra russo, rilegge le trattative fallite fra Trump, Vance e Zelensky in chiave di finanza-criminale: il "banchiere" americano voleva imporre all'imprenditore ucraino derubato l'accordo con chi gli voleva sottrarre l'attività

I negoziati, o meglio il possibile accordo tra Zelensky e Trump, continuano a essere la notizia più discussa dai media di tutto il mondo. Questo è dovuto soprattutto al “nuovo” formato delle trattative. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, sprofondato nella sua poltrona, l’ambasciatrice ucraina negli Usa, Oksana Markarova, che si copre il volto – tutto ciò dimostra che quella che una volta chiamavamo diplomazia ha smesso di esistere. I commentatori parlano già di una “nuova sincerità”, in cui ciascuno dice ciò che vuole, con il linguaggio delle risse tra adolescenti o delle trattative tra bande mafiose.
Cosa è successo realmente? Ne abbiamo parlato con l’ex giornalista di guerra Evgeny Erlikh.
Evgeny, molti analisti cercano di prevedere le conseguenze di questi negoziati. Qual è la sua opinione?
Penso che nel nostro mondo non esistano profeti. Nessuno aveva potuto prevedere ciò che è accaduto negli ultimi anni, figuriamoci prevedere ciò che sarebbe diventato il colloquio tra due presidenti nello Studio Ovale. E ancora più inutile è cercare di indovinare cosa accadrà domani, come questa guerra di parole tra Trump e Zelensky influenzerà gli eventi in Ucraina, in Europa e nel mondo. Nemmeno noi cercheremo di leggere nei fondi del te.
L’unica cosa di cui sono personalmente certo è che il gesto diplomatico di Zelensky, col tempo, diventerà per molti un esempio se non di eroismo, sicuramente di coraggio. È stato l’atto di un uomo per cui l’orgoglio nazionale (un concetto tanto effimero quanto reale) si è rivelato più importante dell’umiliante sottomissione a un “capo del pianeta” arrogante e prepotente. Al contrario, Trump con il suo “Esigo gratitudine” finirà per diventare per le generazioni future una caricatura. Perché, alla lunga, la gente sceglie sempre la giustizia, anche se nel mondo reale non esiste.
Quindi Zelensky ha fatto la scelta giusta?
Nel mondo reale oggi o ha perso la guerra o l’ha vinta. Ma non sta a noi giudicare, bensì alla storia.
Si fanno molti paragoni per spiegare la situazione: alcuni parlano di affari, altri di un avvocato contro un giudice corrotto. Sono confronti validi?
Tutte queste analogie, per usare un eufemismo, zoppicano, e per dirla senza mezzi termini, distorcono completamente la realtà. In generale, non mi piace fare paragoni, anche se a volte cado anch’io in questa tentazione. Ma il problema di questi confronti è che mancano sempre dei pezzi fondamentali: sembra che il conflitto sia solo tra Trump e Zelensky, come se Putin non esistesse affatto.
Vuole dire che questa crisi non è solo uno scontro tra due presidenti?
Esattamente. Inoltre, in queste analogie manca anche un quarto giocatore: l’Europa. Troppo presto gli analisti l’hanno esclusa dai conti, eppure oggi non è affatto chiaro chi sia il vero “sponsor” per Zelensky, gli Usa o l’Ue. E, soprattutto, l’Ucraina viene trattata come un oggetto senza volontà propria, un mendicante umiliato su cui tutti possono pulirsi i piedi. Quando, in realtà, è proprio l’Ucraina a combattere e a fornire almeno la metà del proprio equipaggiamento militare.
Se dovesse scegliere l’analogia più adatta, quale sarebbe?
Bene, eccola. È il business in Russia negli anni ‘90. Zelensky ha la sua azienda, di tutto rispetto, “Ucraina”. Putin ha la sua gang di San Pietroburgo. Trump possiede la più grande banca della regione, “Usa”, mentre i partner europei hanno una società fiduciaria, “Ue”.
A un certo punto tutti pensano che i criminali anni ‘90 siano finiti. E invece, all’improvviso, i “sanpietroburghesi” attaccano l’azienda “Ucraina”, ne prendono una parte con la forza e mettono alla prova tutti i suoi partner commerciali. Se i partner di “Ucraina” in “Usa” e “Ue” cedono, pensa la gang di San Pietroburgo, allora è il Far west: il più forte ha sempre ragione.
Così, Usa e Ue si ritrovano in una situazione che prima avevano solo letto nei libri di storia del XIX secolo: “Come gestire gli affari nelle colonie”. Parte della dirigenza di Usa e Ue decide di sostenere “Ucraina”, un’altra parte preferisce non inimicarsi la banda armata. È una dinamica tipica degli anni ‘90, in cui le leggi non valgono e funzionano solo le regole della strada.
E ora se noi giudichiamo, seduti sui nostri divani, chi ha ragione, indichiamo fin d’ora che mondo scegliamo: qUello degli ideali, qUello della legge o qUello della legge della tayga.
Quindi l’Ucraina era destinata al ruolo di “pezzo di carta”, cioè a subire senza reagire?
Zelensky è andato da Trump né come un mendicante, né come un avvocato. Quello doveva essere un incontro tra due presidenti. Ma, nel corso del colloquio, è diventato chiaro che il direttore della banca “Usa” aveva già trovato un accordo con la gang di San Pietroburgo e che a Zelensky era stato assegnato il ruolo di “schiavo”.
E lui si è alzato ed è uscito. Perché con gli schiavi nessuno negozia. Uno schiavo può solo accettare le condizioni imposte e obbedire. È forse strano che Zelensky, un uomo responsabile di milioni di cittadini di “Ucraina”, abbia rifiutato di essere un “servo”?
Quali saranno le conseguenze di questo incontro?
Per ora, “Ucraina” e la fiduciaria “Ue” continuano la loro guerra economica contro il racket di San Pietroburgo. Come finirà, è presto per dirlo. Nel frattempo, la banca “Usa” sta perdendo rapidamente clienti e all’interno dell’istituto molti top manager si rifiutano di lavorare secondo le “regole della strada”. Anche questo è un elemento da considerare.
Nella foto di apertura, di AP Photo/Mstyslav Chernov/LaPresse, un momento dell’incontro-scontro nello Studio Ovale di venerdì scorso.
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