Formazione

La gabbia globale

Un grande sociologo, Franco Ferrarotti, dipinge a tinte buie il futuro che ci aspetta. La tecnologia è diventata strumento di schiavitù. di Luca Volponi

di Redazione

Dietro tutte le grandi innovazioni tecnologiche ci sono inimmaginabili interessi economici, gli stessi che potremmo definire i mandatari della globalizzazione selvaggia». Ha uno sguardo cupo e un?inflessione battagliera Franco Ferrarotti. Lui, uno dei maggiori sociologi italiani, che nel 1985 pubblicò un saggio diventato una pietra miliare (intitolato Cinque scenari per il Duemila, Laterza), guarda ai futuri sviluppi della nostra società quasi con spavento. La globalizzazione, sembra avvertire, è alla vigilia dell?ultimo atto. Le forze che la governano sono invulnerabili. E gli assetti più forti di ogni spinta critica. Cosa la porta a questa certezza, professore? Guardiamo la situazione: a presiedere e gestire le grandi innovazioni sono le società multinazionali, quelle del capitale apolide senza fissa dimora, per intenderci. Sono circa 200 delle quali solo 15 sono europee e il resto tutte nordamericane. La cosa davvero incredibile è che queste società hanno il loro domicilio legale presso case private nelle quali non si può entrare senza previa autorizzazione. Nulla da eccepire su questo fatto anche perché i diritti privati di tutto il mondo tutelano una scelta del genere. La realtà incresciosa però sta nel fatto che 200 multinazionali con il domicilio privato hanno poi funzioni pubbliche e civili, decidano sui destini di intere porzioni del territorio mondiale, disboschino, costruiscano strade, inquinino a loro piacimento mantenendo tutto il potere insindacabile di un privato e le funzioni pubbliche di cui si appropriano. E la politica che ci sta a fare? Un amministratore delegato oggi ha più potere di un presidente del Consiglio perché è lui a decidere e pianificare i grandi investimenti strategici, il bene o il male del mondo stesso, il giusto o ?l?economicamente scorretto?. Il dramma sta proprio nell?esaurimento della politica come progetto o proposta e il conseguente trionfo del potentissimo capitale apolide, senza nome e senza volto. Qual è allora il profilo della società alla quale stiamo andando incontro? E’ una società dicotomica con una base ampia e un vertice ristrettissimo, con una serie altrettanto ristretta di raggruppamenti dinastici che navigano in un mare sociale politicamente indifferenziato. Oggi siamo in presenza della ?società corporata? che è una sorta di neocorporativismo feudalmente arroccato che si protegge dagli assalti dei non garantiti: è contraddistinto da élite corporative politicamente analfabete, arricchite dalle nuove tecnologie che hanno svuotato il senso del lavoro e sostituito vecchie élite con le nuove. Con esse le forze sociali lavoratrici vedono bloccata ogni tipo di dialettica e di interazione. E’ l?immagine di una società bloccata? Il progresso del futuro non sarà illimitato come dicevano le dottrine del XIX secolo ma sarà un progresso chiuso: chi possiede il know how tecnico scientifico ha in mano le chiavi del potere e con esse il cuore decisionale del mondo. In questo scenario, però, la tribù bianca è tecnologicamente forte ma demograficamente debole: i grandi squilibri planetari dovuti all?incremento demografico peseranno anche su questa nuova struttura sociale neocorporativa. Anche l?informazione è rimasta stritolata in questo meccanismo? La globalizzazione è diventata anzitutto una globalizzazione delle informazioni che, invece di formare l?individuo a una coscienza completa, lo frastornano al punto da ridurlo a una sorta di idiote sauvant. Anche questo è un elemento notevole, ossia che la società assista passiva al disservizio dell?informazione: la radice di molte trasformazioni della pubblica intelligenza e sensibilità sta in quei media che non mediano affatto, ti sbattono in faccia la notizia senza curarsi del proprio lavoro di intermediazione, senza stabilire nessuna tavola di priorità nel proprio servizio informativo alla collettività. I vecchi, gli anziani provvisti ancora del logos greco, sono abbastanza provveduti e riescono facilmente a mediare da soli le informazioni, ma l?internet aficionado non è in grado di dominare la ricchezza invasiva delle notizie, al punto che ne viene letteralmente travolto: i media offrono e continuano a offrire informazioni alla opinione pubblica con la più totale indifferenza verso i contenuti. Eppure apparentemente questo è il tempo della massima libertà possibile e del massimo abbattimento delle barriere di classe? In realtà le esclusioni e i privilegi, anche di cose essenzialmente date per acquisite nel passato, ormai sono sotto gli occhi di tutti. Si pensi alla sanità e al progressivo impegno per privatizzarla del tutto. Allora, quando scrissi i Cinque scenari, auspicavo un individualismo socialmente orientato ma mi rendo conto, a distanza di tempo, che il mio era un semplice whishfull thinking. Da un individuo socialmente orientato siamo passati a una socializzazione spuria e omicida. L?individuo, nelle attuali società globalizzate, sta per essere definitivamente polverizzato da un sociale completamente anonimo, intriso di un pensiero che qualcuno appella unico ma a me sembra sinceramente un non-pensiero. Lei ha una totale sfiducia nell?impatto sociale delle nuove tecnologie. Eppure le nuove tecnologie hanno sicuramente umanizzato il lavoro? Sì, però, a uno sguardo profondo, si scopre che l?informatizzazione ha modificato il modo di concepire il lavoro. Prendiamo il telelavoro. A Parigi, io stesso ho visitato i cosiddetti bureaux de teletravaille, cioè uffici di vicinato tra telelavoranti. Come dire: il lavoro da lontano è un abominio, nel senso etimologico del termine. è qualcosa lontano dall?umano perché violenta l?aspetto socializzante dell?impiego. Al punto che chi esercita il telelavoro sente la necessità di ricreare le condizioni sociali stesse di un lavoro impiegatizio. Il telelavoro è un tentativo ulteriore di decerebralizzare l?impegno lavorativo dell?uomo, sottraendolo alla socializzazione di un luogo fisico nel quale si attui. In un posto di lavoro nascono amori, odi, incomprensioni, solidarietà ossia tutte quelle manifestazioni di umanità che altrimenti non sarebbero possibili. Una volta di più abbiamo la controprova del fatto che la tecnologia è una perfezione priva di scopo, è la perfezione del nulla, come ho titolato un saggio uscito qualche anno fa. E noi esseri umani siamo stati tanto stolti da affidare non solo la direzione della società stessa a qualcosa che non ha una sua teleologia intrinseca, a qualcosa che non edifica nulla se non la perfezione di se stessa, ma addirittura tanto scellerati da affidarle anche il controllo di sé, interamente. Io credo che la gravità di un simile status quo non si è mai approfondito dovutamente e che non si è mai voluto individuare chi c?è dietro questo processo di lievitazione al nulla. Cosa ha polverizzato quelle speranze di un progresso socialmente più sostenibile? Il capitale selvaggio ha lavorato contro ogni forma di razionalità e ha demolito sistematicamente qualunque tentativo di progettualità costruttiva. Quando scrissi 17 anni fa quel saggio, mi si presentò l?idea di valutare un progetto di conduzione della rivoluzione informatica nel progetto di edificazione di una società multidimensionale. Cioè in una società polivalente in cui il valore centrale fosse costituito dalla naturale socievolezza dell?essere umano. Oggi purtroppo sono largamente scettico su questa possibilità. Bisogna prendere coscienza del difficile stato delle cose se si vuole minimamente pensare a un rimedio. Il fatto è che per fare ricerca profonda sulla società, ci si è basati troppo spesso sugli indicatori econometrici e sulle loro variazioni di tendenza. Le tecniche quantitative dell?econometria emarginano quella porzione di società non economicamente rappresentativa e con essa i germi del futuro. Così, scegliere un futuro sulla base di previsioni econometriche risulta inattendibile e deviante data la loro natura monovalente e unilaterale. La scelta del futuro non deve essere a esclusivo appannaggio di specialisti ma è un dovere da far rientrare nei compiti della pubblica opinione e nei diritti di ogni democrazia che si renda degna di questo nome. Chi è Franco Ferrarotti, 76 anni, è stato professore di Sociologia all’Università di Roma La Sapienza. Fondatore con Nicola Abbagnano dei Quaderni di sociologia nel 1951, dirige attualmente La critica sociologica. Deputato nella terza legislatura in rappresentanza del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, con cui ha collaborato dal 1948, ha insegnato in molte università in Europa, Nord America, Russia e Giappone. Luca Volponi


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