Welfare

La formazione è il cuore della futura armonizzazione del profilo dell’Educatore professionale

Un intervento a commento dell’annuncio di un tavolo di confronto e discussione sulla figura dell’Educatore Professionale avviato da Confcooperative e Anep. «Non è una ri-unificazione. La possibilità di arrivare a una figura unica in futuro si gioca nell'ambito della formazione di primo livello universitaria». Il tema caldo dell'Albo

di Fabio Ruta e Paolo Zuffinetti

Non possiamo che accogliere con favore l’annunciarsi di tavoli di confronto e discussione sulla figura dell’Educatore Professionale. Noi stessi abbiamo reiteratamente nei nostri interventi auspicato che un simile scenario prendesse il posto di sterili contrapposizioni. Senza per questo voler marcare una primogenitura della proposta, ci preme “mettere i piedi nel piatto”, cercando di illuminare alcuni “coni d’ombra” e ridurre i margini di possibili ambiguità o fraintendimenti che potrebbero seriamente pregiudicare il buon esito di ogni dibattito. Nei recenti articoli che “Vita” ha avuto il merito di ospitare, offrendo costanza e profondità allo sguardo sulla evoluzione normativa che riguarda questo settore, si è parlato di una auspicata “riunificazione della figura dell’educatore professionale”. Ci pare che vi sia un errore semantico in questa definizione, che rimanda con l’immaginario ad una era aurea della professione che in realtà non è mai esistita.

Spesso a questo proposito si fa riferimento al D.M. 520/ ’98 del Ministero della Sanità “recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale”. A questo DM, adottato in ambito sanitario e recante aspetti positivi ed altri problematici, non è seguito un recepimento o un analogo provvedimento in campo sociale. Provvedimento all’epoca tanto atteso e ritenuto giocoforza consequenziale e coessenziale. Nel tempo questa configurazione ha prodotto una situazione paradossale. Situazione nella quale la parte numericamente maggioritaria degli educatori (formata nei corsi di laurea in Scienze della Educazione) rimaneva di fatto in una sorta di “limbo”: priva di solidi riconoscimenti normativi ed esclusa dai concorsi pubblici in ambito sanitario e dal lavoro nel settore della salute. Si creava così una sorta di “riserva professionale” per i laureati in Educazione Professionale presso i corsi di Laurea in Snt2, di fatto in numero inferiore dei loro colleghi formati in SDE e – a detta di molti – non in quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno dei servizi del comparto. Persino quanto disposto dal DM 520/98 in materia di formazione è rimasto disatteso, poiché i corsi in interfacoltà previsti sono stati istituiti solo in casi singolari, rimanendo delle rare eccezioni. L’aver posto in capo alle facoltà di Medicina la regia dei corsi di interfacoltà non ha di fatto facilitato una loro diffusione capillare. E i corsi in Educazione Professionale presso le Facoltà di SNT2 si sono progressivamente caratterizzati per una più consistente impostazione sanitaria. Mentre i corsi per Educatore Professionale in SDE hanno mantenuto, pur nella interdisciplinarietà, un “nocciolo epistemologico” più legato al sapere umanistico e pedagogico.

Con le recenti innovazioni normative e la permanenza del DM 520/98 ancora attivo, si è creata una congerie di norme complesse e in parte contraddittorie attorno allo stesso oggetto. Uno scenario passibile di auspicabili armonizzazioni. Se qualcuno pensasse però di tornare ad una inesistente pregressa unità della figura professionale, attraverso la cancellazione di quanto disposto dai commi Iori contenuti nella L. 205 e dai diversi commi della Legge di Bilancio 2019 che riguardano il settore educativo, si sbaglierebbe. Per quanto non esaustivi, quei provvedimenti riducono la forbice presente all’interno della categoria professionale:

  1. fornendo finalmente un riconoscimento giuridico ai laureati SDE in classe L-19 ed ai pedagogisti, che vedono finalmente esplicitamente sbloccato il settore di lavoro sociosanitario e della salute;
  2. riconoscendo opportunamente la equipollenza alla laurea in classe SNT2 agli Educatori Professionali dei corsi Regionali che hanno conseguito il titolo entro il 2005;
  3. riconoscendo la possibilità di continuare ad operare a quegli operatori che – pur privi di titolo abilitante – hanno lavorato alla luce del sole per un periodo di almeno 36 mesi di lavoro.

Tutto ciò non risolve evidentemente ogni problema, ma mette in sicurezza la tenuta dei servizi ed i livelli occupazionali. Stabilendo anche un principio importante che richiama i concetti di Salute presenti nelle recenti linee dell’OMS e nei criteri ICF e riconoscendo dunque anche agli educatori con un background formativo umanistico e pedagogico l’utilità del loro intervento – per le loro specifiche competenze – nell’ambito della salute: in una ottica che valorizza una presa in carico olistica dell’individuo nell’intero arco di vita.

Dal nostro osservatorio qualsiasi riflessione attorno ad una unità – che a questo punto per quanto sopra esposto definiremo “ex-novo” della figura dell’Educatore professionale – non può dunque partire dal mettere in “questione” queste acquisizioni. Non siamo più all’anno zero. E occorre riconoscere un picchetto, dal quale muovere con prudenza passi verso nuove mete. La compresenza di Educatori Professionali sociosanitari e sociopedagogici in ogni ambito di intervento – e senza debiti formativi – ci pare indispensabile presupposto per favorire quello scambio di saperi e quella contaminazione delle conoscenze propedeutica ad una futura armonizzazione dei profili, della formazione, nell’ottica della unità della figura di EP.

Il nodo della formazione si divide in tre branche:

  1. l’ambito della formazione di primo livello universitaria della figura di Educatore Professionale;
  2. l’ambito della formazione di competenze di secondo livello ed alta specializzazione in lauree specialistiche orientate alla preparazione di figure professionali che operino nella manutenzione pedagogica del lavoro educativo, nella organizzazione-gestione-management-coordinamento dei servizi, nella progettazione di un nuovo welfare consono ai tempi che cambiano;
  3. l’ambito della formazione continua che accompagni la vita professionale dei lavoratori della educazione, aggiornandone le competenze e promuovendo ricorsività tra esperienza sul campo, ricerca, rielaborazione, di nuovo pratica sul campo con maggiore consapevolezza di strumenti, metodi e ruolo.

Nel primo livello formativo si gioca, in buona misura, la possibilità di addivenire in futuro ad una unica figura di Educatore Professionale. Si potrebbe giungere a questo sbocco per due vie: la prima è un rilancio di corsi di interfacoltà che promuovano una formazione multidisciplinare, dinamica, complessa ed integrata. Questa volta non più posti sotto la regia delle Facoltà di Medicina. Una seconda possibilità verrebbe dal mantenimento dei corsi per Educatore Professionale nelle due Facoltà (Snt2-Sde) ma individuando una comune base professionalizzante obbligatoria per entrambi (che consenta l’accesso ad ogni settore di lavoro educativo) alla quale (in una ottica di pluralismo formativo) si potrebbe affiancare una rimanente quota di CFU vocazionali. Sul livello delle specializzazioni successive, in parte già in essere, occorre rimandare ad un futuro approfondimento a sé stante.

Per quanto riguarda invece la formazione continua degli Educatori occorre scongiurare il rischio di offerte a “gettone”, “analgesiche”, fatte per totalizzare il numero di ECM obbligatori richiesti. Questo ambito invece potrebbe essere la chiave di volta per accrescere la qualità della offerta dei servizi e creare cultura professionale. A patto che si attinga a piene mani a pratiche autoriflessive degli stessi professionisti, mediate da sapienti consulenze di processo, informati dai costrutti teorici della autobiografia professionale e della clinica della formazione. Analisi di secondo livello dell’agire formativo che andrebbero strettamente collegate al contesto storico ed alla architettura dei servizi sociali, sociosanitari, sanitari, socio pedagogici, extrascolastici. Questo ruolo connettivo potrebbe ispirarsi proprio alla seminale esperienza dei vecchi corsi per Educatore Professionale promossi dalle scuole regionali, dove sovente i docenti erano operatori dei servizi territoriali, dove era di casa una stretta connessione con la realtà complessa e stratificata dei territori.

Inutile dire che un tavolo di confronto sulla formazione degli educatori debba passare per il diretto coinvolgimento esplicito di entrambe le facoltà e di agenzie formative collegate ai territori, per quanto riguarda il livello della formazione continua. Facoltà universitarie ed agenzie formative che debbono porsi in ascolto delle esigenze della comunità professionale, come di quelle delle associazioni di utenti e famigliari e degli enti gestori pubblici e del privato sociale. Un tavolo di confronto sulla figura dell’Educatore Professionale dovrebbe poi essere veramente inclusivo ed informato da una ottica di ascolto e comunicazione generativa, capace di affrontare i conflitti in una ottica maieutica disinnescandone il potenziale distruttivo. Va da sé che a quel tavolo dovrebbero sedersi i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, degli enti gestori, delle associazioni di utenti e famigliari, dell’associazionismo professionale di categoria a 360 gradi, quindi non solo ANEP. Ma anche le diverse sigle di rappresentanza degli educatori professionali socio pedagogici e dei pedagogisti: tra le quali, APEI, APP, CONPED. Dovrebbe essere dato ascolto alla prestigiosa Siped (Società Italiana di Pedagogia).

Un altro “cono d’ombra” che può abbattersi sulla efficacia di un processo di ridefinizione della figura professionale è quello di considerare “ineluttabile” l’esistenza di un albo professionale e la sua applicazione a tutta la categoria. La legge 3/2018, meglio conosciuta come “Lorenzin” ha istituito, tra gli altri albi, quello dell’Educatore Professionale: non con ordine professionale autonomo, ma all’interno di un Ordine multi professionale sanitario. Questo albo, di fatto, si applica al solo profilo di Educatore Professionale Sociosanitario ed ha destato molte critiche sin dalla sua istituzione. Una autorevole critica, estesa non solo a questo albo specifico ma alla generalità di quanto previsto dalla L. 3/2018 è provenuta dalla Authority Antitrust, che ha bocciato la prospettiva di proliferazione degli albi professionali. Ormai da diversi anni ed in diversi ambiti si parla di superamento o abolizione degli Ordini Professionali, percepiti da parte della opinione pubblica come anacronistici e non più rispondenti alle finalità istitutive preposte: che potrebbero essere soddisfatte da altri provvedimenti normativi, da commissioni di vigilanza, da criteri di accreditamento delle figure professionali. Oltre a queste critiche generali, diciamo di cornice, spesso rivolte ai regimi ordinistici, vi è una specificità di critiche che sono state mosse proprio all’albo degli Educatori. Ne elenchiamo alcune:

  • gli alti costi di iscrizione a carico di professionisti con paghe già non esaltanti, che lo fanno percepire come una sorta di ingiusta “tassa sul lavoro”;
  • il fatto che non vi sia stato un preventivo sondaggio ed ascolto della categoria professionale nel suo complesso sulla effettiva necessità ed utilità della istituzione dell’albo;
  • la collocazione dell’albo nel solo settore sanitario, che si presenta divisiva sia del profilo integrato dell’educatore (che ha una radice epistemologica nelle scienze educative e pedagogiche seppur collocate in un sapere multidisciplinare), sia della comunità professionale stessa attraverso la esclusione degli Educatori Professionali laureati in SDE. In questo senso, si può dire che l’albo professionale (per lo meno così com’è) non sia affatto uno strumento inclusivo che va nel senso della unificazione della figura e del profilo dell’Educatore Professionale. Bensì un elemento ostativo.

In fondo, ma non in ordine di importanza, siamo convinti che il futuro tavolo non possa esaurire il suo compito occupandosi solo dei “contenitori” e del profilo dell’EP. Occorre dipanare nodi che attanagliano e feriscono la carne viva della comunità professionale, nell’esplicarsi delle pratiche quotidiane. Elenchiamo velocemente alcuni temi che non possono essere dimenticati o messi sotto il tappeto:

Il riconoscimento economico, giuridico e mansionario della figura degli Educatori Professionali in ogni Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Da questo punto di vista siamo veramente molto arretrati. Basti pensare che nello strategico CCNL del comparto Pubblico “Regioni – Autonomie Locali”, al quale afferiscono i servizi sociali degli enti locali ed una infinità di servizi che impiegano in pianta organica gli Educatori Professionali, l’Educatore Professionale non è nemmeno menzionato esplicitamente nelle declaratorie contrattuali. Una anomia che attende da decenni di essere risolta e che ha prodotto l’imbarazzante situazione attuale: che vede gli EP inquadrati in maniera difforme, a “macchia di leopardo”, sul territorio nazionale. Spesso in categoria C, come semplici diplomati, sebbene i requisiti per l’accesso ai concorsi pubblici banditi per quella posizione richiedano esplicitamente il titolo per educatore o laurea equipollente. La risoluzione di questo problema viene affidata da tempo immemore a “code contrattuali” ed a fantomatiche “commissioni bilaterali” che dovrebbero aggiornare la classificazione del personale educativo: ma che puntualmente disattendono il compito affidato ed i termini previsti per il suo svolgimento. Occorre inoltre ragionare su un innalzamento dei livelli salariali degli educatori ed un loro avvicinamento ad altre realtà europee notevolmente più virtuose dell’Italia.

  1. La continuità e la qualità nei servizi appaltati. Che deve passare per parametri e standard di qualità da inserire nei bandi di appalto. Ed anche dalla emersione e dal rafforzamento di un mondo cooperativo sano, rispettoso dei diritti contrattuali dei dipendenti.
  2. La prevenzione e cura dello stress lavorativo e del burnout professionale che colpisce soprattutto i professionisti delle relazioni di aiuto, particolarmente esposti, con danni individuali in termini di salute fisica e psichica e ricadute notevoli sulla operatività dei servizi stessi.
  3. Il riconoscimento di lavoro usurante ai fini del calcolo per l’età di pensionamento.
  4. La identificazione di percorsi professionali e di carriera interni ai servizi per gli EP, che tengano conto anche della esperienza maturata ed individuino per gli EP “senior” (adeguatamente formati) mansioni di tutoring.
  5. La possibilità per gli Educatori dipendenti di svolgere libera professione con partita IVA, analogamente a quanto già avviene per le professioni mediche.
  6. La vigilanza sul rapporto utenza-personale e sulla conformità e pertinenza tra tipologia di servizio e tipologie di utenze: per rendere il lavoro sostenibile ed evitare che i ripetuti tagli agli enti locali portino alla strutturazione di servizi sempre meno specializzati nella offerta proposta. Con il rischio di derive custodialistiche e meramente assistenziali. Di questi argomenti e della loro pervasività, seppur non alla ribalta della comunicazione mediatica, ogni professionista della educazione ha conoscenza: spesso diretta.
  7. È fondamentale che nessuno rimanga indietro e che venga risolta con la piena equipollenza alla laurea abilitante la situazione degli Educatori Professionali diplomati successivamente al 2005 nei corsi regionali banditi dalla Regione Piemonte. Corsi in tutto e per tutto identici a quelli già equipollenti per legge.

Concludiamo questo intervento ricordando che il 25 Gennaio alle ore 21 si terrà presso la sede Enaip di Busto Arsizio una assemblea di conclusione della esperienza del comitato Lombardo degli Educatori Professionali (’99 – 2003) per la equipollenza. La conclusione è un atto dovuto, per compimento del mandato fondativo, con il raggiungimento della equipollenza del titolo per gli educatori professionali diplomatisi entro il 2005 che include, appunto, quelli lombardi. La mobilitazione che si è creata attorno al comitato lombardo è un fatto nuovo e sorpendente che ha rotto schematismi, liberato energie, prodotto risultati concreti. Il 25 gennaio si rifletterà su come valorizzare questo patrimonio di competenze, di idee, di lotta, immaginando nuovi strumenti e nuovi obiettivi. Al vaglio delle ipotesi vi è la trasformazione del gruppo pubblico su facebook “Educatori Professionali per la Equipollenza” in una agorà aperta di confronto della intera Comunità Professionale: animata da dibatti proposti, talvolta come sondaggi di opinione. Lo start di questo nuovo gruppo sul social potrebbe essere proprio un sondaggio rivolto agli Educatori sul grado di consenso e favore relativo alla istituzione dell’albo professionale. A seguire si sta pensando ad una sorta di “manifesto-appello” – ancora da costruire nei dettagli – aperto alla comunità professionale e volto alla valorizzazione del lavoro educativo. Sullo sfondo la suggestione di un Movimento di idee garibaldino per l’unità dal basso della categoria professionale composto da liberi lavoratori dell’Educazione. Mille, appunto. Come quelli di una lotta unitaria di tanto tempo fa.

Gli autori
Fabio Ruta è educatore professionale post 99 con circa 25 anni di servizio in tipologie di servizio e con utenze diverse. Laureato in Sde e Consulenza Pedagogica e Ricerca educativa. Attualmente lavora nel settore delle disabilità

Paolo Zuffinetti è educatore professionale post 99 e formatore, si occupa del coordinamento di attività di formazione professionale di adolescenti e giovani

Photo by Simson Petrol on Unsplash

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