Economia

La finanza etica sta cambiando l’economia, ma ha bisogno di un “popolo”

L'intervento della presidente di Banca Etica, dopo quelli di Luciano Balbo, Laura Orestano, Federico Mento e Francesco Bicciato: «La finanza etica non vuole solo cambiare gli strumenti della finanza, ma vuole cambiare il modello economico. Ma il cambiamento culturale ha bisogno di tempo e ciò non appare in sintonia con la velocità della finanza mainstream. Per superare questo disallineamento culturale, serve la spinta di una collettività militante a cui bisogna affiancare una trasformazione istituzionale e legislativa»

di Anna Fasano

In un'intervista rilasciata all'HuffPost Luciano Balbo, fondatore di Oltre Impact, considerato il padre dell'impact investing in Italia ha affermato di «essere stato un ingenuo a credere nella finanza etica (…) Oggi viene data una ancora maggiore priorità al ritorno finanziario rispetto ad ogni altro criterio di investimento. Il vero problema è la finanziarizzazione del mondo, l’assoluto predominio del capitale sul lavoro (…) C’è bisogno di una grande ridistribuzione della ricchezza. Attenzione, però: pensare di poterla ottenere tassandola è un’illusione! Il capitale troverà sempre modi di sfuggire. Il problema va risolto a monte. Aumentando i salari, ma soprattutto intervenendo sui meccanismi globali della finanziarizzazione che mette il valore delle aziende al di sopra di ogni altro interesse e che coinvolge gli stessi lavoratori nel meccanismo (…) Temo che l’unico modo per uscire da questa situazione sia una crisi sistemica e ancora più profonda; un trauma.​». Parole che hanno già suscitato la reazione di Laura Orestano, ceo di Social Fare , Federico Mento, direttore di Askoka Italia e Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile.


Per valutare lo stato di sviluppo della finanza etica ritengo vada data una lettura più ampia di quanto emerso nella recente intervista a Luciano Balbo, pioniere dell’Impact Investing, che dice «sono stato un ingenuo a credere nella finanza etica». Intanto è bene chiarire che impact investing e finanza etica sono due cose differenti, con alcuni elementi chiave in comune. L'impact investing – cui Balbo si riferisce – si basa su uno dei pilastri fondamentali della finanza etica, che è la valutazione dell'impatto sociale e ambientale dell'agire delle aziende su cui investire. Questa dimensione è indispensabile e determinante ma non sufficiente a proporre la visione completa dell’architettura su cui la finanza etica si costruisce. Basti pensare al tema della trasparenza e dell'azionariato popolare, così importante per una banca come la nostra, che si fonda sull'approccio cooperativo nella gestione del denaro; per non dire di voci come sobrietà ed efficienza. L’impact investing non abbraccia tutte le membra del corpo della finanza etica.

Per contaminare il sistema finanziario mainstream le dimensioni da considerare sono molteplici. La finanza etica non vuole solo cambiare gli strumenti della finanza, ma vuole cambiare il modello economico. È evidente che, dopo decenni di insegnamenti neoliberisti diffusi nelle università del mondo, radicare su larga scala i cambiamenti che ci prefiggiamo non sia facile. Il cambiamento culturale ha bisogno di tempo, e ciò non appare in sintonia con la velocità della finanza mainstream e delle emergenze del mondo di oggi. A questo disallineamento culturale, bisogna inoltre affiancare una trasformazione istituzionale e legislativa, che è l'unica modalità per intervenire coerentemente sullo scenario, sia a livello locale che planetario. Se la finanza etica è cresciuta in questi tre decenni a livello globale, se è riuscita a dare risposta a una parte di economia esclusa dal sistema bancario mainstream, e se ha innescato un processo culturale importante, sappiamo che la rivoluzione culturale non è ancora compiuta. Ma ciò non perché il modello non funzioni, a mio avviso, bensì perché rinunciare ai livelli di “benessere e consumismo” sempre crescenti è difficile e impone un cambiamento radicale, anche di visione della realtà e del futuro, che non si è ancora radicato in molte persone, organizzazioni e istituzioni. Per questo a livello globale si è scelto fin qui di non abbracciare un modello di finanza alternativo.

D’altra parte, mentre Balbo teme una “diluizione della pratica” della finanza etica, in un’epoca in cui si discute e legifera molto di sostenibilità in economia e finanza, come pure di greenwashing, bisogna ricordare che la finanza etica è molto più che sostenibile e comporta necessariamente scelte radicali. Se leggiamo la sostenibilità dell'agire finanziario solo nella parte di output, di investimento e finanziamento, in una mera gestione del denaro che pure produca impatti positivi per ecosistemi e persone, è evidente che non possiamo rimanere soddisfatti. Una parte del problema è da dove provengono i soldi destinati agli investimenti etici. E questo è un tema che l'impact investing elude, come tante altre filiere del sistema economico-finanziario attuale. Troppi soggetti cercano di evitare il trauma che comporta affrontare tale aspetto, non volendo ammettere che la tesi della crescita infinita è irrealizzabile. Perché la definizione di sostenibilità include al suo interno la concezione di limite e di futuro.

La domanda che ci dobbiamo porre, e che elude invece chi pratica il greenwashing, ad esempio, è: come posso io oggi – non domani! – lasciare alle prossime generazioni un pianeta e delle comunità che hanno una visione di futuro. È quindi inutile pensare di creare delle tassonomie che includono, ad esempio, gas e nucleare tra gli investimenti definiti come sostenibili, senza mettere in discussione il pensiero economico vigente nel suo complesso, magari adottando piccole normative tampone cullandoci nell'illusione che la deflagrazione generata dal modello in uso non abbia impatto su di noi, quando c'è un'altra metà del pianeta che si sta distruggendo. Bisogna avere il coraggio di guardare oltre, mettere in discussione il pensiero economico vigente nel suo complesso.

Così la finanza etica traccia una strada verso una possibile soluzione, ma l'approccio deve essere sistemico e, parimenti, le responsabilità individuali. Se molte leve importanti sono nelle mani di pochi, nella quotidianità ci sono azioni e scelte, economiche e finanziarie, che le singole persone, imprese e organizzazioni possono intraprendere, e che già hanno raggiunto un certo peso nelle nostre comunità: basti pensare all’economia circolare; all’impresa sociale; alla stessa finanza etica che in tutto il mondo coinvolge un numero sempre crescente di clienti. Questo è il dilemma che ci appartiene e ci apparterrà, ed è illusorio affidarsi all'unica soluzione che arrivi da poche menti geniali. Solo la collettività può avere una valenza trasformativa. Una collettività eterogenea e “militante” – citando Laura Orestano – che opera, segue e persegue alti valori comuni.

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