Economia
La finanza ad impatto? Vale 8 miliardi
L’84% di questi capitali è sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale e gli asset gestiti dagli operatori equity, quasi 2 miliardi di euro, aumenteranno del 19% nel prossimo anno. Sono i dati rilevati dal Tiresia Impact Outlook 2019. «Lo studio restituisce l’immagine di un settore ancora piccolo, in grande trasformazione», commenta il direttore Mario Calderini, «nel quale gli operatori stanno via via strutturando modelli e strumenti. Una enclave che tuttavia potrà giocare un ruolo prezioso»
Il 2019 è stato l’anno d’oro per la finanza per l’impatto sociale. I temi legati alla sostenibilità sono diventati centrali nella coscienza collettiva e nel sistema economico e finanziario tradizionale: la famosa lettera di Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, il manifesto della Business Roundtable e la prima pagina del Financial Times su tutti hanno sancito la necessità di ripensare il capitalismo, hanno segnato la definitiva consacrazione dell’imperativo dell’impatto.
La ricerca Tiresia Impact Outlook 2019, realizzata dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management del Politecnico di Milano, offre una descrizione aggiornata dello stato dell’arte della finanza per l’impatto sociale in Italia e alcune riflessioni sulle sue possibili traiettorie di sviluppo. L’analisi è basata su 58 interviste strutturate a operatori sia dal lato dell’offerta sia della domanda di capitali.
La metodologia poggia su una definizione inclusiva di finanza per l’impatto: un’ampia gamma di investimenti e finanziamenti basati sull’assunto che i capitali privati, talvolta in combinazione con i fondi pubblici, possano intenzionalmente contribuire a creare impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici. Gli operatori così identificati sono stati profilati in base alle loro caratteristiche e all’approccio utilizzato nelle loro attività riconducibili alla finanza per l’impatto, descritto attraverso una triade di elementi qualificanti, la cosiddetta triade dell’impatto: intenzionalità, misurabilità e addizionalità.
Il capitale per l’impatto impiegato dal 2006 in Italia è circa 8 miliardi di euro. Di questi, gli investimenti in equity effettuati dai soggetti intervistati dal momento del loro ingresso nell’industry è di 1.263,4 milioni di euro (15,7% del totale degli impieghi). Il totale dei finanziamenti erogati dagli intervistati, sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale, è di 6.767,8 milioni di euro (84,3% del totale degli impieghi). Nel 2019, il totale degli asset gestiti dagli operatori equity è di 1.824,75 milioni e crescerà del 19% nel prossimo anno.
«Lo studio restituisce l’immagine di un settore ancora piccolo, in grande trasformazione», commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia, «nel quale gli operatori stanno via via strutturando modelli e strumenti. Una enclave che tuttavia potrà giocare un ruolo prezioso nel contaminare virtuosamente l’industria finanziaria, il suo processo di trasformazione, verso modelli più sostenibili e inclusivi».
Rispetto alle aree di impatto sociale, obiettivo degli investimenti e dei finanziamenti, classificate secondo i 17 SDGs delle Nazioni Unite, prevale l’obiettivo “Buona occupazione e crescita economica” (73,7% degli operatori) seguito da “Imprese, innovazione e infrastrutture” (65,8%).
Per quanto riguarda i rendimenti attesi, il 60% degli intervistati dichiara aspettative di rendimento inferiori rispetto ai normali valori di mercato. Per il 73% degli investitori equity i rendimenti attesi si attestano tra il 2% e il 5%. Per chi opera nel mercato del credito, i rendimenti attesi sono prevalentemente in linea con gli ordinari tassi di mercato.
Circa il rischio finanziario associato alle operazioni di finanza per l’impatto, l’insieme di intervistati ha dato risposte eterogenee: il 45,5% dichiara un rischio maggiore delle operazioni ordinarie, mentre il 42,4% in linea ed un 15,2% inferiore. È rilevante osservare che la percezione di maggiore rischiosità è sensibilmente differente tra investitori equity e operatori sul mercato del credito, essendo questi ultimi più orientati ad una percezione di rischio minore.
Tra i criteri di screening adottati dagli operatori per l’impiego del capitale, il più utilizzato è l’analisi del modello di business (83,3%) seguito dal potenziale del progetto imprenditoriale di rispondere a un bisogno sociale (66,7%) e dalle competenze manageriali e tecniche del team (30%). Da ciò si evince che per un terzo degli operatori l’impatto sociale rappresenta una condizione di eleggibilità dell’operazione finanziaria ma non un criterio di screening vero e proprio.
Tra le strategie di exit, riconosciute come un possibile ostacolo agli investimenti, prevalgono l’acquisizione delle quote da parte di altri investitori e il management buyout, mentre ancora irrilevante è l’aspettativa della possibile nascita di mercati organizzati per i titoli a impatto sociale. Dal punto di vista delle barriere che ostacolano lo sviluppo dell’industry, prevalgono la mancanza di competenze finanziarie dei soggetti investiti, debolezza dei social business model e un’assenza di politiche pubbliche.
Specularmente, tra le azioni necessarie a sviluppare l’industry, viene segnalata una necessità di azioni di capacity building tra le imprese che perseguono obiettivi di impatto sociale, lo sviluppo di azioni pubbliche volte alla semplificazione, nuovi schemi di partenariato pubblico-privato, la modellizzazione e l’omologazione dei processi e dei metodi utilizzati nei processi di investimento.
Coerentemente, il 60% degli intervistati considera il settore pubblico l’attore decisivo nell’imprimere un’accelerazione all’industry.
«Lo studio descrive un ecosistema che, seppur ancora di nicchia, contiene caratteristiche antropologiche, valori, modelli e strumenti che potranno giocare un ruolo decisivo nel fecondare una transizione dell’industria finanziaria mainstream verso un modello compatibile con le grandi sfide ambientali e sociali emergenti», conclude Calderini, «Un laboratorio di innovazione e trasformazione che si propone come esempio per il ripensamento dei modelli di gestione di triliardi di asset affinchè possano generare insieme valore economico e sociale ristabilendo un rapporto più positivo con la società, con le comunità, con gli individui».
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