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La filiera efficiente

Come riorganizzare il settore agroalimentare: la ricetta Consumers’ Forum

di Maurizio Regosa

Se ne parla sempre più spesso. Ormai da tecnicismo per pochi, il termine “filiera” è diventato vocabolo usato. Usatissimo. Forse troppo. Forse senza una adeguata riflessione.
Questo è il senso, probabilmente, dell’appuntamento organizzato ieri a Roma da Consumers’ Forum – associazione che riunisce imprese, rappresentanza dei consumatori e istituzioni. Non a caso il seminario – il cui titolo era Filiere lunghe, filiere corte, filiere estemporanee – è stato introdotto da una relazione del senatore Paolo De Castro, attuale vicepresidente della Commissione Agricoltura ed ex ministro del governo Prodi.

Contro i luoghi comuni

Una relazione per sfatare molti luoghi comuni. Anzitutto che, se corta, la filiera sia a priori efficiente. Non è detto – ha più volte ribadito il senatore – che questo sia il solo criterio da tener presente. Anzi. Se si guarda alle caratteristiche del comparto agroalimentare, si comprende come le “sacche di inefficienza” (traduci: i prezzi alti e la scarsa capacità di “stare” sul mercato) siano da imputare ad altri fattori. Il nanismo, in primo luogo.
A fronte di un valore della produzione significativo (tra agricoltura e industria alimentare supera i 163 miliardi, con una propensione all’export che vale quasi 24), il settore è caratterizzato da una frammentazione impressionante. Qualche numero: ci sono in Italia oltre un milione e 700mila imprese agricole, oltre 71mila industrie alimentari, quasi 35mila operatori di commercio all’ingrosso e 115mila al dettaglio specializzato. Ed è utile il confronto europeo: prendiamo la Gran Bretagna. Ha 60,8 milioni di abitanti e quindi è comparabile al Belpaese, ma conta 254mila imprese agricole e 7mila aziende alimentari…

Un settore  frammentato
La polverizzazione del resto non condiziona solo le performances economiche: limita – ha sottolineato De Castro – e fortemente la capacità organizzativa anche in termini di risposta alle sollecitazioni di un mercato sempre più globalizzato. Un esempio? Alcuni anni fa la Germania mangiava, nel 90% dei casi, arance siciliane. Oggi questo prodotto è scomparso dalle tavole di Berlino come di Monaco, sostituito dalle arance spagnole (gli iberici hanno saputo, al contrario di noi, garantire alla grande distribuzione un approvvigionamento costante nella qualità e nella qualità).
Naturalmente il discorso va analizzato non solo alla luce del “fresco” ovvero della produzione ortofrutticola e si riequilibra se si prendono in considerazione segmenti differenti. Il vino, ad esempio, la zootecnia. La costante però – variate le percentuali e registrata la più spiccata internazionalizzazione – è la non ottimale organizzazione (anche in termini distributivi).

In attesa della riorganizzazione
È dunque su parametri di efficienza che va valutata una filiera. Lunga o corta che sia, deve rispondere a una esigenza concreta di minimizzare i costi industriali (produttivi e distributivi), in relazione alle caratteristiche del prodotto e ai passaggi necessari (eliminando, quindi, le ridondanze). Non vi è dubbio, ha sottolineato il senatore – che il comparto agroalimentare italiano dovrà compiere un cammino di riorganizzazione, accentuando la sua vocazione all’export e trovando una via per una maggiore competitività.

(anticipazione dal prossimo Consumer’s Magazine, mensile del Movimento Consumatori in edicola con Vita, da venerdì 30 gennaio)

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