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di Carmen Morrone

Le competenze specifiche non bastano più. Per fare, con successo, il fundraiser occorre avere una preparazione interdisciplinare e grandi doti relazionali e di comunicazione. Questi i requisiti che fanno la differenza durante le selezioni di personale. Non solo. Per Gianluca de Tollis, responsabile Raccolta fondi di Lega del Filo d’Oro che coordina uno staff di una decina di fundraiser, occorre anche una forte motivazione. «È una componente fondamentale. Senza parlare di missione, è evidente che occorre essere consapevoli del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione e sapere che il percorso di carriera e l’aspetto retributivo non sono paragonabili con quelli del mondo profit». Un fundraiser neoassunto, con contratto a tempo indeterminato, full time ha uno stipendio mensile che si aggira attorno ai 1.300 euro netti. Anche le dinamiche fra colleghi sono diverse. «Fra i fundraiser c’è concorrenza perché ognuno vuole raccoglie più fondi possibili per l’associazione per cui lavora. C’è, però, anche un forte spirito di gruppo che unisce i competitor durante alcune campagne e per determinati eventi». Il lavoro del fundraiser in realtà strutturate si articola in mansioni ben definite. «Chi vuole diventare fundraiser deve sapere dove vuole lavorare», considera Niccolò Contucci, direttore generale di Airc -Associazione italiana per ricerca sul cancro che conta 33 operatori del fundraising e 21 fundraiser. «In una organizzazione come la nostra c’è chi è specializzato in raccolta fondi attraverso il web, chi in campagne sul territorio, chi in lettere postali ai donatori, chi nel direct marketing. In altre associazioni il fundraiser deve occuparsi di tutte queste articolazioni e deve quindi prima di tutto essere un ottimo organizzatore, deve sapere mettere in fila le diverse operazioni per avere il massimo risultato». Si stima che gli operatori della raccolta fondi siano attorno ai 5mila, ma gli iscritti all’Assif- Associazione italiana fundraiser sono poco più di 200. «Chi fa questo lavoro comincia ad avere la consapevolezza della propria professione e iscrivendosi all’associazione dimostra il desiderio di contribuire alla formazione di una identità e di voler partecipare alla crescita della professione», afferma Francesca Zagni, presidente di Assif e docente all’università san Tommaso-Angelicum di Roma. «Nei candidati in questo momento occorre cercare la capacità di interloquire con le istituzioni, come le fondazioni bancarie, gli enti locali. Per questo il fundraiser deve conoscere come funziona un’azienda, un ministero, deve sapere leggere un bilancio contabile, deve conoscere il marketing. Un professionista deve essere in grado anche di seguire la rendicontazione della raccolta fondi e di comunicarla agli stakeholder».
La preparazione, si diceva, deve essere mirata. Università e associazioni offrono corsi. Apripista è stata The Fund Raising School, nata dall’iniziativa di Aiccon, associazione della facoltà di Economia dell’università di Bologna, sede di Forlì, per la promozione della cultura dell’economia civile. «Offriamo corsi rivolti agli studenti e a chi già lavora. Ci sono diversi livelli, da quello base a quelli ideati su di una determinata strategia di raccolta fondi», spiega Marianna Martinoni, docente a The Fund Raising School. Grazie al lavoro di rete, la scuola sceglie i temi degli incontri in base alle esigenze esplicitate dalle organizzazioni. Come è il caso del fundraising per la cultura. «I donatori nel corso degli anni scorsi sono stati sensibilizzati alle campagne per la salute, per la ricerca, per i diritti umani. La tutela del patrimonio è percepita come un impegno elitario. Questo è quindi un nuovo campo per i fundraiser e proponiamo un corso specifico che si terrà il 24 e il 25 novembre al centro universitario di Bertinoro».


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