Economia

La filantropia è nata a Napoli. In città, l’archivio bancario più grande al mondo

Negli archivi dei banchi pubblici napoletani sorti nel XVI secolo si scopre la storia del primo sistema basato sulla fiducia. Ben prima del suo sviluppo con la Banca d’Inghilterra, il sistema monetario nasce a Napoli non come fenomeno commerciale, ma come istituzione filantropica diffusa. Un modello da riscoprire.

di Marco Dotti

Disposte in 330 stanze su 14mila metri quadrati note, pandette, lettere minute. Queste carte ben ordinate – quasi 250milioni di pezzi in 60mila faldoni contabili – raccontano la storia di 17milioni di nomi, mezzo millennio di storia. Vita di gente che, dal 1539, è venuta per chiedere un credito e ha lasciato traccia di sé, della propria storia e della storia di tutti. Siamo all’Archivio del Banco di Napoli, il più imponente, il più prezioso e, di certo, il più ordinato archivio bancario al mondo.

Un modello per l'Europa

Il Banco di Napoli nasce dall’unificazione di otto banchi pubblici. Fu un processo lungo, durato all’incirca un secolo e mezzo, in un periodo in cui Napoli era la seconda città europea dopo Parigi, ma prima per i commerci marittimi e mediterranei.

Otto furono i banchi pubblici napoletani sorti tra il 1500 e il 1600, che sorreggevano il cuore della città da via Toledo a via dei Tribunali: il Banco della Pietà, il Banco dei Poveri, il Banco dell’Annunziata, il Banco di Santa Maria del Popolo, il Banco dello Spirito Santo, il Banco di Sant’Eligio, il Banco dei Santi Giacomo e Vittoria e il Banco del Salvatore.

Il primo di questi banchi pubblici fu il Monte della Pietà, nato su iniziativa di nobili napoletani per combattere l’usura concedendo prestiti su pegno non gravati da interesse. Nel Monte – il nome lo dice – si accumulavano risorse economiche, in particolare monete, che venivano usate per aiutare le vittime "dell'odioso morbo" usurario. Il Monte divenne formalmente "banco" nel 1584.

Ancor più particolare, il Monte dei Poveri nasce dall’accumulazione di risorse finanziarie da parte di avvocati napoletani, mossi a pietà tanto dalle condizioni economiche dei poveri, quanto dal trattamento privo di misericordia riservato ai debitori insolventi. Nel 1563, un avvocato napoletano assieme ad alcuni colleghi decise di istituire la cosiddetta «pegnorazione senza interesse» a favore dei carcerari. Nel 1600, il nuovo Monte comiciò a raccogliere con regolarità depositi e a svolgere la funzione di banco. Nove anni dopo assunse la denominazione di Monte e Banco dei Poveri.

Fede nel credito

Nei banchi pubblici napoletani si rintraccia la storia di un primo sistema monetario basato sulla fiducia. Ben prima del suo sviluppo con la Banca d’Inghilterra, il sistema monetario nasce a Napoli non come fenomeno commerciale, ma come istituzione filantropica diffusa che cercava di dare una risposta sociale ai problemi della città (le ragazze madri, l’usura, gli orfani). L’aspetto mutualistico è all’origine dei banchi pubblici napoletani che divennero un vero e proprio modello esportato in Olanda e Spagna.

A Napoli, lo schema fiduciario mutualistico ha consentito la prima circolazione in un grande regno di valuta fiduciaria: carta garantita da una riserva d’oro piccolissima. Si calcola che solo il 20% della carta circolante fosse garantito da riserve auree. Il resto era garantito dalla fiducia. L’attenzione ossessiva al dettaglio, al particolare della vita minuta e al trasferimento dell’informazione che ritroviamo nei documento dell’Archivio del Banco di Napoli hanno origine proprio da questa necessità di monitorare e garantire la fiducia.

A partire dalla seconda metà del Cinquecento, un documento importante appare sulla scena: la bancale. Simile agli assegni circolari, la bancale riporta però la causale di pagamento: proprio grazie a questo “dettaglio” è stato possibile ricostruire vicende storiche di capitale importanza, avvicinandoci a ciò che in toni più o meno enfatici si potrebbe chiamare “la verità”.

Coloro che lavoravano al mondo della "bancale" avevano chiara la missione a cui erano chiamati: scrivere il credito, inscrivere la fiducia nel credito. Senza questa missione, senza la precisione massima anche nel dettaglio più piccolo tutto sarebbe crollato. Dalla pandetta al libro delle polizze alla fede di credito, una struttura documentale si è affinata e selezionata nel corso dei secoli al fine di garantire che la fiducia potesse essere riposta e ben riposta in quel credito e in questo mondo.

In particolare, la fede di credito era un titolo negoziabile e girabile, surrogato della moneta, invenzione dei banchi pubblici napoletani dalla metà del secolo XVI, mentre le polizze servivano al depositante per disporre della somma accreditata.

Solidarietà circolare

La matrice filantropica rimase chiara, anche quando i Monti, cresciuti per popolarità e efficienza, costruirono ex novo veri e propri istituti di credito che accettavano somme in deposito in cambio di interesse. Le attestazioni di questi depositi iniziarono a circolare com “fedi di credito” girate a terzi. Per questo sistema, fondamentale era la fiducia. Raccolta di risparmio e cessione di credito diventano a poco a poco le attività prevalenti degli otto banchi pubblici napoletani. Con un particolare: gli utili ricavati da questa attività venivano interamente impiegati per le attività filantropiche e solidaristiche originarie. Nessuna distribuzione di dividendo, quindi, ma una ricaduta orizzontale, se così la possiamo chiamare, sull’intera comunità.

Nei numeri, la verità

Ogni anno, l’Archivio accoglie e offre assistenza a più di 4000 studiosi delle materie più varie e disparate, dalla musica all’arte, intenti a raccogliere fonti su Giuseppe Verdi, Caravaggio o la Cappella San Severo. Così, nell’Archivio possiamo conoscere il prezzo di un kg di farina al tempo della rivoluzione partenopea, ma anche quello della tela e dei colori delle "Sette opere di misericordia" del Caravaggio. Gli archivisti del Banco sanno leggere le scritture bancarie dal ‘500 ai nostri giorni e sanno aiutare il ricercatore.

La storia del Banco di Napoli esemplifica bene, sul piano storico, un concetto: la sussidiarietà -ovvero il fatto che la comunità si faccia carico delle esigenze della comunità stessa in maniera solidale e solidaristica – precede di molto la nascita del welfare statale. Anzi, lo Stato borghese prima e sociale poi tende a decomporre i legami di fiducia su cui si reggeva questa forma di sussidiarietà. Scuola, sanità, credito agevolato: sul lungo termine, la pretesa pubblicistica di negare al privato una positiva ricaduta sul sociale ha di fatto affievolito le risposte che la comunità poteva e sapeva dare a se stessa. Anche questo racconta l'Archivio.

E racconta come la verità che traspare dalle carte sia diversa da quella della storia mainstream. In un’ottica statalistica si ritiene che soltanto l’impegno dei poteri pubblici possa dare risposte alle problematiche delle comunità di riferimento. Basta una visita all’Archivio del Banco di Napoli per allargare la prospettiva storica e capire che le cose non stanno (e non sempre sono state) così. La sussidiarietà orizzontale, la capacità di dare risposte attive a problemi e richieste sociali, la relazione virtuosa tra classi è storia d'altri tempi. O forse no? Questa la domanda cruciale che l'Archivio pone a chi lo sa interrogare.

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