Non profit

La fedeltà ha l’oro in bocca. Lo dicono i numeri

Come reagire alla perdita di donatori

di Redazione

La costruzione della fedeltà del donatore oggi è la più grande sfida del nostro settore. Nonostante l’interesse crescente nei confronti della raccolta fondi, le organizzazioni non profit continuano a perdere donatori a un tasso sorprendentemente alto. Se in un anno le imprese profit perdessero un terzo dei propri clienti, non sopravviverebbero; eppure, questi dati sono molto comuni nel settore.
E, come se non bastasse, in queste cifre si fa riferimento agli “amici”, cioè a quelle persone che hanno fatto almeno due donazioni a una stessa organizzazione. Se poi si analizza il numero dei sostenitori acquisiti di recente, le stime sono addirittura peggiori. Tra tutti gli individui che in un determinato momento sono motivati a fare una donazione, circa la metà, o anche meno, doneranno nuovamente. Dopo tutto, molte non profit sembra che riescano a far fronte a questo tipo di andamento senza grossi problemi. I beneficiari possono ancora usufruire dei servizi resi e loro sopravvivono. Allora perché preoccuparsi della fedeltà? Minimi miglioramenti nella fedeltà del donatore possono influenzare enormemente i ricavi che un’organizzazione è in grado di generare dalla propria raccolta fondi. In altre parole, se non si affronta questo problema, potenzialmente si perdono ingenti somme di denaro!
Di solito, un miglioramento del 10% nel livello di fedeltà aumenta il Lifetime Value (il valore della vita del database di fundraising) di circa il 50%. Ciò accade perché gli effetti aumentano nel tempo. Se alla fine dell’anno in corso avete il 10% in più di donatori, avrete il 10% in più di persone che donano alla vostra organizzazione anche durante l’anno successivo. Quindi nel secondo anno perderete il 10% in meno dei donatori e di conseguenza le perdite nel bilancio saranno minori per ogni anno successivo. E non è tutto, il resto la prossima settimana.
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