Se posso dirvelo alla mia maniera e concedetemelo, sono preoccupato per l’entusiasmo esploso attorno a Papa Francesco. Santo subito! Piace a tutti, le televisioni lo citano più di Obama, piazza San Pietro esplode ad ogni parola che dice, ilCorriere della Seraesce con una collana sui dieci comandamenti, gli italiani sono tornati a confessarsi.
Ripeto: questa vampate di entusiasmo non mi appartengono e non le sposo facilmente. La fede è una scelta di vita difficile, radicale, controcorrente. Non basta un Angelus in piazza San Pietro, piangere davanti al Papa che passa e farsi il segno della croce quando lo vediamo.
È vero che lo Spirito Santo ha dato una prova sbalorditiva di efficienza e di capacità selettiva rispetto al testimone Francesco ma la situazione della gerarchia ecclesiastica e il qualunquismo disincantato dei cosiddetti cattolici, ha fatto precipitare non soltanto la frequenza ai sacramenti, ma soprattutto la sostanza della vita cristiana: la via stretta, il servizio ad un solo padrone, la scelta privilegiata degli ultimi, l’infinita capacità di perdonare, la non dipendenza da mammona “iniquitatis” (= i soldi).
È una fissa, come è una mia fissa Medjugorje, le conversioni a gettone, le carovane a Lourdes e Fatima, le migliaia di preghiere dette davanti agli altari, ignari che il Padre di casa è là, nel tabernacolo, silenzioso, solo, dimenticato.
Perché la gente va in chiesa, accende la candela come vuole l’ignoranza cattolica e poi, via all’ipermercato. Sapranno, queste signore e questi signori, che in chiesa c’è anche Cristo?
Se saranno rose fioriranno e faranno rifiorire questa Vaticano avvitato su se stesso, perso dentro un dogmatismo patologico e capace, in contemporanea, di adorare le banche e distribuire l’otto per mille ai poveri.
Se dite che mi sbaglio, mi fate contento. Finisco citando una delle ultime frasi, energicamente pronunciate da lui, Francesco, ai diplomatici: “No, ai cristiani da salotto!”.
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