L’immaginazione di uno scrittore, e anche di un aspirante scrittore quale io sono sempre stato, tende sempre a insediarsi nelle zone tropicali della fantasia: voglio dire che il mondo che nasce dalla sua fantasia è sempre un po’ più lussureggiante rispetto alla realtà delle cose. Questa è una specie di forca caudina che la fantasia stessa ha sempre imposto allo scrittore. Chi la negava e cercava il realismo a tutti i costi, come certi scrittori del neorealismo italiano (li credevo scomparsi dalla faccia della terra, invece a quanto sembra le loro opere, pur disprezzate da tanti, sono pervicacemente presenti nella nostra biblioteca), rischiava quasi sempre di impantanarsi nella peggiore retorica. Il lavoro paziente dello scrittore è, piuttosto, quello di spostarsi, con molta cautela, da quella zona tropicale, ingenua, densa, caotica, piena di animali bizzarri, di tigri, di pappagalli colrati, di cazzi irti come pali e di fighe perennemente assetate come terra nella stagione arida, e dirigersi piano piano, non senza fatica e sacrifici, verso le zone temperate dell’immaginazione, che sono anche le più inesplorate e perciò quelle che, a dispetto delle apparenze, soddisfano meglio lo scrittore, il quale solo in quelle zone può sperare di creare qualcosa di veramente originale.
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