Famiglia

La famiglia in piazza sia famiglia aperta

Alla fine la data c’è. Il 12 maggio le famiglie italiane scendono in piazza per far sentire la loro voce. Per far vedere che...

di Giuseppe Frangi

Alla fine la data c?è. Il 12 maggio le famiglie italiane scendono in piazza per far sentire la loro voce. Per far vedere che anche loro esistono e hanno diritto di essere ascoltate dalla politica ma non solo. La scelta è giusta, condivisibile anche perché preventivamente non politica: del resto sul tema è difficile scegliere una parte politica, visto che se Prodi certo non ha brillato in questi primi mesi, il centrodestra in cinque anni di governo non ha messo a segno nessun provvedimento strutturale a favore della famiglia. La politica – in quanto a difesa della famiglia – è in blocco indefendibile. Evitata saggiamente questa prima tentazione, la manifestazione di Roma rischia però di inciampare in un?altra: quella di ridurre la famiglia a feticcio valoriale. Di farne baluardo di un mondo che ormai esiste solo sulla carta. Se guardiamo alla realtà sociale dell?Italia oggi, bisogna serenamente ammettere che la rivoluzione antropologica non si è affatto fermata sulle soglie delle case. È entrata anzi alla grande, ha trasformato i rapporti tra genitori e figli (i pochi che restano); tra marito e moglie; tra la famiglia stessa e la comunità che la circonda. Oggi le porte blindate di milioni di appartamenti nelle nostre città e paesi non sono solo una istintiva e comprensibile risposta a un?ansia di sicurezza; sono anche l?emblema di luoghi diventati cellule solitarie, quasi dei piccoli fortini assediati più che da un cultura nemica, dalle proprie paure e dall?incapacità di gestire i conflitti. E non è una condizione che riguarda situazioni estreme: è una condizione che ha intaccato profondamente la normalità. I genitori che improvvidamente difendono i ?diritti? dei figli nei confronti della scuola, sono sintomo quotidiano di un?impotenza educativa, come il bullismo dilagante è figlio di un?inerzia, di una rinuncia al principio di autorità.

Se vogliamo difendere la famiglia perciò dobbiamo guardarla in faccia, non fingere che sia quella che invece non è più. E il miglior modo di difenderla è innanzitutto risvegliarla. È difficile aiutare un soggetto che non abbia più coscienza del proprio compito, che abbia perso per strada la passione per il proprio destino (che – lo sottolineiamo per esperienza diretta – è un destino assolutamente straordinario). E qual è il destino della famiglia? È di essere un?apertura di credito incondizionata verso la vita, di essere un investimento, che non ha paragoni, sul futuro. La famiglia è un vero incubatore sociale, dove le generazioni si incontrano o si scontrano; è il primo luogo di compensazione delle diversità; è la prima cellula dove si costituiscono legami tra individui che, se fondati su rapporti sani, si proiettano poi in costruzioni sociali sane. La famiglia per natura non può essere luogo chiuso, ambito protetto. È luogo aperto e la sua forma più compiuta è nell?esperienza dell?accoglienza: dall?accoglienza dei prossimi (per esempio gli anziani), all?accoglienza di altri bisogni più lontani (come testimoniano le storie troppo rare e troppo poco favorite dell?affido).

Questa è la famiglia che può diventare modello affascinante e trainante per i tanti uomini e donne intimiditi e inquieti che popolano il nostro tempo e che per questo si rifugiano nell?istintività dei rapporti, nell?estemporaneità delle relazioni. Per questa famiglia aperta e disposta ad attraversare il mare aperto del presente val la pena essere in piazza. Insomma, per qualcosina in più rispetto a quel manifesto di convocazione dai toni un po? vecchi e troppo preoccupato dalla politica.


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